L’INVALSI si presenta come risposta al bisogno di indirizzo politico e di controllo sul nesso insegnamento-apprendimento. I suoi scopi, come dimostrano le norme su cui si regge e l’ispirazione delle sue pratiche di esclusiva e ricorsiva elaborazione da parte dei gruppi di potere economici, sono di consolidamento di un modello sociale autoritario.
di Renata Puleo
E’ preferibile pensare senza avere consapevolezza critica, in modo disgregato e occasionale […]
o è preferibile elaborare la propria concezione consapevolmente e criticamente?
Antonio Gramsci
La nascita dell’INVALSI raramente viene posta in relazione con il quadro politico che annoda le vicende della valutazione, lo sviluppo delle strategie valutative messe in atto dall’Istituto, con il livello macro, quello dei cambiamenti socio-culturali in atto
L’individuazione di questo nesso può alimentare una critica più avvertita, un’opposizione in grado di produrre azioni di lotta più consapevoli dei risvolti, non solo educativi, ma propriamente culturali, dell’uso di dispositivi della valutazione cosiddetta di sistema, e di come essa sia il frutto del consolidamento del modello economico capitalista.
Anche solo tratteggiare questo quadro rappresenta un progetto piuttosto ambizioso.
Dunque, andrò argomentando per nodi, per brevi spunti di riflessione, di cui spero si intravveda la concatenazione logica. Nodi, in cui l’impianto ideologico si mostra come diffusione di elementi atti a formare una mentalità (concepire, intendere, giudicare) sul ruolo della scuola e sul posto che i vari attori vi occupano.
Nodo 1. La soggettività: un cantiere aperto
I sistemi educativi e scolastici nei nostri paesi a democrazia autoritaria, sono fondamentali come luoghi di formazione del tipo di cittadino che può vivere in una società civile ad impianto neo-liberista, parola abusata, a rischio-usura, su cui tornerò. Non a caso la Fondazione Agnelli, l’Associazione TREELLLE, mentori dell’INVALSI, del MIUR, e l’INVALSI medesima, costantemente definiscono e ridefiniscono il concetto di cittadinanza attiva come profilo della soggettività.
In uno degli ultimi documenti prodotti dal MIUR, le Linee Guida per la Certificazione delle Competenze (2015),si legge che le competenze, come insieme delle abilità e delle conoscenze distribuite e situate, hanno carattere squisitamente personale, il loro possesso rappresenta la vita realizzata in questa società, sono alla base dell’adattamento pro-attivo al saper stare al mondo, nella prospettiva di un nuovo umanesimo verso cui l’intera società globale è proiettata. Già nel testo de La Buona Scuola risultava evidente come lo scopo della cosiddetta riforma fosse la realizzazione di un vasto piano di ingegneria sociale in cui la scuola giocava il suo ruolo in sintonia con le manovre operate dal Jobs Act.
Dunque, si realizza mediante il sistema scolastico e quello del lavoro, il rinforzo di una nuova soggettività, di quella forma di vita che, da almeno un ventennio, costituisce la rivoluzione passiva, rivoluzione-restaurazione, messa in atto regressiva di un programma etico-sociale, antropologico, in cui le istanze di riscatto maturate dal basso sono metabolizzate come autorealizzazione amministrata, svuotamento di contenuti autentici del progetto di vita e del ruolo sociale.
La soggettività è stata oggetto di continue ridefinizioni da parte della filosofia e della psicoanalisi, ma in questa analisi mi attesto sul significato datogli da Gramsci:l’individuo si costituisce come blocco storico di elementi individuali e soggettivi e come effetto di elementi di massa, oggettivi, materiali 1. Individuo, soggetto, cittadino debitore di una diversa declinazione della cittadinanza. Passata al setaccio dei concetti di classe, di genere, di etnia (con gli studi post-coloniali) e attraverso le turbolenze degli anni ’70, la cittadinanza si presenta come lo status che si acquista nel gioco concorrenziale, perché, ci informano gli economisti, il mercato – luogo fisico e simbolico del concorrere – è ineliminabile, è naturale2. Nello scambio mercificato, si scambia la propria vita nella forma singolare di lavoro prestato, e si garantisce la riproduzione sociale di una umanità atomizzata e cosificata, soggetta all’amministrazione americano-calcolante. Succede allora, che meccanismi sottili, nelle forme di saperi diffusi piuttosto che di grandi quadri ideologici, formino l’idea che l’individuo si fa di sé, del proprio ruolo, del proprio lavoro, nella società in cui opera.
Nodo 2. Atto di nascita
L’INVALSI nasce nel 1999 per decreto, figlio dell’autonomia. Abrogato tale provvedimento dalla successiva ondata riformista, l’Istituto si manterrà vegeto grazie ad un lunga pletora di norme di urgenza, di commi all’interno di leggi finanziarie, di atti secondari, fino al Regolamento n. 80 del 2013 (impugnato di fronte al TAR-LAZIO per vizio costituzionale). Una sorta di eutanasia sembra prepararsi con l’ultimo guizzo del Governo Renzi: l’art 32 della bozza di decreto-legge (La Buona Scuola) istituisce l’Istituto per l’Autonomia e la Valutazione Scolastica (IPAV), dalla fusione dell’ Istituto Nazionale per l’Innovazione e la Ricerca Educativa (INDIRE) con l’ INVALSI.
Le ceneri su cui si edifica l’INVALSI sono quelle del Centro Europeo dell’Educazione (CEDE).
Il CEDE, nasce da uno dei decreti delegati del 1974, il 419, con la vocazione di ente che guarda oltre confine, verso l’Europa che cammina incontro ad una unificazione declinata come culturale ma soprattutto economica e monetaria.
Il CEDE si occupa di ricerca, documentazione, sperimentazioni che anticipano alcuni aspetti dell’autonomia, come il progetto di studio del 1998 sulla futura Dirigenza Scolastica. Tutti filoni di cui non si farà nulla nell’immediato futuro. Infatti, con l’inizio del nuovo secolo urge una modernizzazione: è necessario un istituto più efficace, immediatamente attivo sul piano dei cambiamenti culturali, per la nuova missione europea.
Ma cos’è l’INVALSI a livello giuridico: istituzione, ente, agenzia, autority (un ente con carattere di terzietà nel gioco di più interessi, come lo sono, ad esempio, quello sulla protezione dei dati personali, su commercio e concorrenza, sull’energia, ecc)?
Istituto dice l’acronimo, dunque effetto di un atto di istituzione.
Gilles Deleuze, nell’introdurre una piccola antologia di autori che hanno riflettuto sulla creazione di istituzioni e istituti, considera l’istituire frutto del bisogno dei consorzi umani di sopperire alla mancanza di istinti nell’uomo, che ne governino i comportamenti3. Essendo la creatura umana esonerata dall’istinto, servono sistemi di mezzi, di imprese, di organizzazioni, funzionali al controllo, non necessariamente coattivo o punitivo, ma anche come insieme di atti di indirizzo e di guida.
La scienza giuridica distinguendo fra istituzioni sociali solide, come lo sono i sistemi scolastici nazionali e pubblici, e non solide, che dettano comportamenti non vincolanti, basate non su leggi ma su intese o consuetudini, mostra come ogni istituzione si fondi, per l’esercizio dei suoi compiti, su discorsi, su giochi linguistici, la cui ripetizione, asserendo, comandando, domandando, disponendo, conduce, proprio mediante la lingua. Il potere tipico della parola istituente è performativo, effetto di realizzazione del suo dire 4.
Nodo 3 Bisogni
A quale bisogno risponde l’istituzione dell’INVALSI? Quello espresso dall’istituzione solida che è la scuola, di strategie di rinforzo, di miglioramento verso il tanto nominato –fino al suo esaurimento semantico – successo formativo?
Nei fatti, l’INVALSI si presenta come risposta al bisogno di indirizzo politico e di controllo sul nesso insegnamento-apprendimento. I suoi scopi, come dimostrano le norme su cui si regge e l’ispirazione delle sue pratiche di esclusiva e ricorsiva elaborazione da parte dei gruppi di potere economici, sono di consolidamento di un modello sociale autoritario.
A livello macro, in tale modello il decisionismo è sposato con un’apparente democrazia, realizzata mediante il ricorso plebiscitario, oggi agevolato dall’accesso illimitato alla rete e dall’acquiescenza della stampa e degli intellettuali. Democratura, è stato detto, ovvero l’abuso del potere di decretazione che svilisce l’organo legislativo e mortifica la stessa ragione storico-giuridica della divisione dei poteri. Qualcuno, il Capo, nel nostro caso i sedicenti esperti, si arroga il diritto di prendere le decisioni più consone al mantenimento dell’ordine, senza scosse per la struttura dei poteri.
L’INVALSI, nel suo piccolo, mima il comportamento dell’Esecutivo basato sulla concessione dei diritti e non il loro esercizio, detta alle scuole le regole per una funzione – la valutazione – intrinseca alla pratica quotidiana dell’insegnare e dell’apprendere, chiede un consenso incondizionato ad attività che il suo gioco discorsivo chiama abusivamente sperimentali e che presenta come forme di protagonismo, di innovazione dal basso, di auto-nomia, di auto-valutazione, di ripensamento della prassi educativa.
Nodo 4 Lo sfondo internazionale
Gli organismi nati a livello internazionale, frutto delle utopie postbelliche sulla ricostruzione materiale e morale, hanno tutti una costola dedicata all’istruzione e all’educazione. L’UNICEF (1945), i cui partner oggi sono IKEA, vari istituti bancari, grandi firme della moda, e i suoi recenti “Obiettivi del Millennio, 2000-2015” (il secondo dei quali sull’istruzione primaria universale); l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), istituito con scopi di gestione del piano di ricostruzione, nel 1947/48, notevolmente ampliati dal 1960, fino al recente programma di valutazione delle competenze giovanili, il Programme for International Student Assessment (PISA).
Viene così rappresentato sulla scena mondiale il tentativo di mitigare, almeno sul piano discorsivo, le disuguaglianze sociali, mediante le opportunità offerte da sistemi di istruzione inclusivi. Si potrebbe parlare di esempi tipici dell’ etica ex-post, come una enciclica papale del 2009, Caritas in Veritate, di Benedetto XVI (punti 45,46) definisce i tentativi di conciliare le scelte economiche diseguali e l’etica. Dopo i disastri della guerra, del colonialismo, il modello di società si può rifondare su un capitalismo equo. Non più locuste, ma api operose, per citare un recente testo di Geoff Mulgan 5.
Educare, istruire, diffondere l’alfabetizzazione, passano da un piano ideale ad uno pragmatico: il mondo eco-finanziario, che si sta consolidando in quello che oggi chiamiamo neoliberismo, non ignora la ricaduta economica rappresentata dalla scuola e da una popolazione più istruita.
Non c’è riunione di economisti e di magnati in cui il tema non venga affrontato. Soprattutto nei circoli ad alta riservatezza, il Gruppo Bildenberg nato nel 1954, di cui oggi conosciamo i report grazie a Wikileaks, i Convegni Walter Lippmann e Monte Pellegrino, nati a ridosso del conflitto mondiale (1938, 1947), i successivi incontri di Davos (dal 1971) e della Trilaterale (dal 1973), non si manca di considerare l’importanza della formazione e dello sviluppo delle competenze 6.
Essere competente significa possedere quei saperi trasversali che consentono di competere in un mondo che va avanti veloce. Competere a varie velocità: le élites per i posti di comando, le classi medie per riuscire a garantire ai figli la mobilità sociale, le classi subalterne per accedere ai consumi, alle aspirazioni borghesi, o alla conquista del semplice posto di lavoro.
Dopo gli accordi di Maastricht del 1992, i compiti della scuola nei paesi europei sono modulati sulle esigenze del mercato globalizzato. I trattati di Lisbona (2000-2010) sanciscono questo legame fra conoscenza ed economia; recita uno degli ultimi testi (2010): L’Unione deve diventare l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo.
Le competenze assomigliano sempre di più a ciò che consente ad un individuo di agire nel consorzio umano per la propria egoistica soddisfazione di consumatore, mediante qualsiasi forma di prestazione lavorativa, meglio se flessibile nel tempo e nello spazio. Ma, non a caso, in un significativo slittamento lessicale, le competenze diventano più brutalmente – al di là di ogni seduzione semantica – leQualifiche Professionali. L’INVALSI, apparentemente inconsapevole di tale paradosso, ne dà conto recentemente nelle schede del Rapporto di Autovalutazione (RAV), quella sulla cittadinanza, nonché in una nota sul concetto di competenza nel Quadro Teorico di Riferimento. Il MIUR mette gli European Qualification Framework (EQF) nel glossario in allegato all’ultimo suo testo, riportando la definizione contenuta in una Raccomandazione del Parlamento Europeo del 23 aprile 2008: […] raggiungimento di livelli di apprendimento specifici […] (per) l’accessibilità, la progressione e la qualità […] rispetto al mercato del lavoro e alla società civile.
Nodo 5. Nella rete del neoliberismo
La storia del liberismo classico e neo che produce dispositivi sull’educazione e sull’istruzione, atti a determinare l’attuale forma di vita della soggettività, non è lineare, è fatta di approdi provvisori e di regressioni.
Se seguiamo Dardot e Laval nel loro disegno critico della storia del neoliberismo, riflessione sulla nuova ragione del mondo, vediamo come sia l’oggetto filosofico a farsi oggetto politico ed economico. Non basta, secondo i due autori, affidarsi ad una ricostruzione di teorie economiche per comprendere il neoliberismo7. Esso è un ampio modello culturale che mira a quella trasformazione antropologica cui accennavo in apertura, è figlio della riflessione sull’origine del legame sociale, sul concetto di libertà e di individuo proprietario, di sé, delle cose, dei prodotti del lavoro.
L’impatto di questa storia sulla società civile, anello fra l’organizzazione famigliare e quella politica, è potente, squassa vecchie consuetudini, incide sulle mentalità, sui desideri oltre che sui bisogni vitali. La concezione dell’uomo egoista, naturalmente tale, va a costituire il caposaldo delle vicende economico-sociali odierne.
L’interpretazione di Dardot e Laval sull’importanza di Locke nella costruzione del principio di proprietà come fondamento della libertà individuale, e dei limiti del governo su di essa (siamo nel 1690), sembra fare eco ad Hans Aarsleff che, nella sua storia della linguistica, dando conto della nota polemica fra Locke e Leibniz sull’origine della lingua, ricorda che secondo Locke, la ragione, in risposta alla necessità, ha creato la lingua8. Un atto ambizioso, frutto di quella libertà dell’uomo imprenditore di sé stesso, che poco deve essere limitato dalle norme, capace com’è di autoregolarsi con la propria ragione, fattasi appunto lingua.
Limiti di governo che oggi gli Stati rispettano bene, nella versione contraddittoria di debolezza e di forza: deboli con i poteri economici, completamente consegnati alle compatibilità dettate dalla Troika in Europa, per contro forti nei confronti dei cittadini, proprio nella paradossale difesa del proprio nuovo statuto condizionato.
Riassumendo, il neoliberismo è la versione odierna – da qui il prefisso – del modo di produzione economico-culturale (struttura e sovrastruttura nel loro intreccio circolare) basato sulla naturalizzazione della competizione, organizzata, concertata. La libertà, che è all’origine del suo etimo, è il gioco concorrenziale sul mercato, non più autoregolato dalla mano invisibile, ma da feroci accordi di partenariato mondiale, fra Stati. Il paradosso del neoliberismo è che l’accordo per il controllo del mercato vede la concorrenza spietata fra gli stessi settori pubblici interni agli Stati, per la compravendita di servizi.
Il rapporto metabolico uomo-strumento-natura, il lavoro umano di trasformazione, oggi è un processo mediato dal macchinismo tecnologico-informatico, destinato a generare ulteriore alienazione dal prodotto e ulteriore furto di tempo di vita e di lavoro. Un modello produttivo e riproduttivo volto a fare dell’affidabilità, della responsabilità individuale in termini di rendicontazione continua, una forma totalizzante di esistenza.
La scuola, che nella sua estensione di massa è un ologramma della società, rispecchia tutte le contraddizioni di questa trasformazione della soggettività.
Nodo 6. La scuola fra missione e protagonismo
La scuola deve realizzare il successo formativo dei termini di performances misurabili: deve fornire pari opportunità al cittadino in formazione, il tutto ancorato al concetto di merito e, soprattutto, a quello assai più invasivo dimeritocrazia. Presunto governo dei migliori, corrispondenti oggi ai meglio piazzati per condizioni di nascita – non certo paritarie – in quella che è stata definita appunto meritocrazia della nascita e pratica della simonia di indulgenze politiche.
Come si inserisce l’INVALSI in questo quadro, come traduce i dettami neoliberisti che provengono dagli scritti e dalle riflessioni di associazioni, di circoli, di consessi internazionali e dalla lunga storia del capitalismo liberista ?
Il paradigma è: essere misurati per meritare, nella accezione di cui su.
La misura come mezzo di governance del sistema insegnamento-apprendimento è organizzata sull’infatuazione per il numero in tutte le sue forme. Ne da conto, come aspetto culturale di cui la scuola è parte, il giurista Alain Supiot, accademico del College de France, in una serie di lezioni tenute dal 2012 al 2014, riflettendo sull’invasività della misurazione dei comportamenti umani, piegati alla legge delle statistiche, delle frequenze relative, delle medie 9.
Per il merito, occorre rivolgere ancora l’attenzione al vecchio e sarcastico testo di fantapolitica di Michael Young , “The Rise of the Meritocracy”, famoso per l’interpretazione pretestuosa che subì a suo tempo, correva l’anno 1958, e la fortuna attuale. Una società giusta è una società che premia i migliori testandoli periodicamente e stabilendo graduatorie basate sulla misurazione dell’intelligenza e dei saperi, ovviamente solo quelli standardizzabili 10.
I giochi linguistici – ne ho fatti numerosi esempi in corsivo – nei documenti di fonte ministeriale e INVALSI, l’additività, la pervasività dei richiami, la ripetizione lessicale e performativa, sono riusciti, come sempre accade alla lingua che intende propagare un’idea che incida sulle coscienze, a bucare l’opinione pubblica e a condizionare una vasta platea di insegnanti.
Il programma sperimentale Valutazione e Sviluppo della Scuola (VALeS), che ha preparato il RAV, i cui operatori sono stati formati con superficialità e modestia di mezzi, è stato utilizzato per confermare delle tesi e non per falsificare/verificare delle ipotesi.
La ricerca condotta da reti di scuole, ad esempio in Piemonte l’AVIMES, iniziata con l’intenzione di lavorare dal basso sulla valutazione, oltre una decina di anni fa, oggi confluisce nel grande alveo dell’INVALSI, senza che l’Istituto ne faccia nulla per modificare il suo impianto centralista.
I Piani Operativi Regionali (POR), versione regionale di quelli nazionali (PON) finanziati con fondi dell’Unione Europea, sono utilizzati, ad esempio dalle Regioni Calabria e Campania, per avviare simulate delle prove INVALSI alla secondaria superiore.
Tesi che si auto-confermano, come si può dedurre dall’ultima nota contenente gli orientamenti per la compilazione del RAV ai Dirigenti, o nel testo che accompagna la diffusione delle schede sulla certificazione delle competenze che, si afferma, qualunque sia l’esito della fase sperimentale, verranno introdotte come obbligatorie dal 2016/2017!
La governance pastorale dell’INVALSI è organizzata su discorsi da buono e da cattivo pastore, serve alla diffusione della credenza fra i docenti del proprio disvalore, della mediocrità del proprio lavoro o di quello degli altri, e della necessità di una vasta operazione correttiva.
1 A. Gramsci (1975) Quaderni del carcere, Einaudi, Torino.
2 L. Arnaudo (2014) Scambi, mercati,concorrenza, Luiss Univerity Press, Roma.
3 G. Deleuze (2002) Istinti e istituzioni, Mimesis, Milano.
4 M. Croce (2010) Che cos’è un’istituzione? Carocci, Roma.
5 G. Mulgan (2014) L’ape e la locusta. Il futuro del capitalismo fra creatori e predatori, Codice Ed, Torino.
6 D.Moro (2014) Il gruppo Bilderberg. L’élite del potere mondiale, Aliberti, Reggio Emilia.
7P. Dardot; C. Laval (2013) La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Derive Approdi, Roma.
8 H.Aarsleff (1984) Da Locke a Saussure, Il Mulino, Bologna.
9 A. Supiot (2015) La governance par les nombres, Fayard, Paris.
10 M. Young (1994) The Rise of the Meritocracy, T. Publishers, London [L’avvento della meritocrazia, (1961) Edizioni di Comunità, Roma].