di Alessandra Ricciardi, ItaliaOggi, 18.11.2022.
Dimenticato se non bistrattato, al di là delle belle parole di circostanza e dei tanti inutili convegni, il sistema dell’istruzione, dalle medie all’università, è in Italia assai deficitario rispetto agli altri Paesi europei. Il fatto è grave e questo disinteresse è tra le cause principali dell’arretramento dello sviluppo economico. La competizione internazionale, dalla quale dipende il grado del tenore di vita, avviene oggi anche sulla qualità dell’istruzione poiché è l’innovazione dei prodotti che fa la differenza.
È inammissibile che nelle scuole medie non avvenga alcun tipo di orientamento scolastico in modo da indirizzare i ragazzi, valorizzando le loro capacità, colpa anche dell’assurda penalizzazione dell’apprendimento tecnico e professionale. Inoltre nelle scuole superiori è quasi bandito il riconoscimento del merito, ha preso piede una maldestra confusione tra autorità è autoritarismo (che impedisce la prima) e infine avviene, talvolta, una selezione dei dirigenti scolastici che non tiene conto delle loro capacità gestionali
Il risultato sono le classi ingovernabili o relegate a semplici parcheggi. Anche qui assai poco viene fatto per consigliare i giovani sull’eventuale ciclo universitario a loro più consono. Oltre ai ragazzi, vittime di questa situazione sono gli insegnanti motivati e capaci, che non vedono riconosciuta la loro professionalità e sono retribuiti assai meno dei loro colleghi europei.
Da parte sua l’università sconta l’incomunicabilità con la società: imperversa la burocrazia, le imprese faticano a ottenere supporto, negli ultimi tempi sono cresciuti a dismisura nuovi corsi di studi dai nomi fantasiosi e dalla quasi certa disoccupazione di chi li frequenta. Mentre c’è carenza di laureati nei settori cruciali, a cominciare dalla medicina.
C’è pure (oltre a una disoccupazione giovanile che sfiora il 9%) il buco nero dell’abbandono scolastico, che è a un livello inaccettabile in un Paese che invecchia. Lo scorso anno il 12,7% dei giovani ha lasciato precocemente gli studi, ben tre punti percentuali in più rispetto alla media europea: la società ha rinunciato all’apporto di 517mila ragazzi/e.