Competenze non cognitive. L’anatema di Galli della Loggia

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TuttoscuolaNews, n. 1023 del 31.1.2022.

A rischio il canone pedagogico occidentale.

Gilda Venezia

Come sempre, gli editoriali ‘scolastici’ periodicamente pubblicati da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera (Perché la scuola non deve essere luogo di controllo e omologazione, 28 gennaio 2022) sono destinati a far discutere. Questa volta nel mirino del professore finiscono le competenze non cognitive, oggetto di una proposta di legge, approvata dalla Camera all’unanimità (ora in attesa di esame da parte del Senato), che prevede l’”introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico“.Qual è l’obiettivo di questa operazione? Far rientrare tra i compiti degli insegnanti, dice Galli citando la legge, quello di addestrare gli studenti all’autocontrollo, alla stabilità emotiva, all’empatia, alla fiducia in se stessi e alla resilienza, a gestire le emozioni e lo stress, a comunicare, a prendere decisioni e a risolvere problemi. Cioè “a formare un tipo standard di individuo, di persona modellata secondo specifiche decise in precedenza come se fosse una macchina“. Un obiettivo che a suo avviso è in piena sintonia con il disegno strategico del Centro di ricerca educativa dell’Ocse, “che di questa svolta didattica è da sempre a livello europeo il fautore più indefesso“: quello di far sì che i sistemi scolastici insegnino ai giovani “a integrarsi senza problemi nella società com’è” e a introiettare le sue norme autocontrollandosi e sapendo risolvere i problemi.

Un attacco particolarmente duro viene rivolto all’Indire e all’Invalsi, incaricati di formare i docenti sulle competenze non cognitive, perché si tratta di  “due enti che da anni – in stretto collegamento con le centrali euro-internazionali della nuova ideologia educativa – sono la roccaforte di una concezione dei sistemi fondata sull’idea di tradurre in termini standardizzati e quantificabili non tanto le conoscenze quanto soprattutto un certo insieme di tratti psicologici degli studenti, di atteggiamenti o elementi del carattere, inclusi i sintomi clinici delle categorie ‘a rischio’, per poi naturalmente intervenire in senso terapeutico“.

In questo modo viene tradita a suo avviso l’idea di educazione elaborata “dalla migliore pedagogia“, che ha sempre puntato sulla capacità della scuola di mettere gli studenti, attraverso le discipline, in condizione di costruire liberamente e autonomamente la propria visione del mondo e dei valori. Certo, il problema posto da Galli c’è, ma non è guardando al passato, o rimpiangendolo, che si può costruire un’alternativa alla deriva della scuola di oggi. Proviamo a discuterne nella notizia successiva.

Si può parlare di un modello educativo, o canone pedagogico, occidentale? Ed è corretto affermare che la visione della scuola dell’Ocse, che ha sede a Parigi e importanti ispiratori negli USA, si ponga al di fuori o addirittura contro tale canone pedagogico, come scrive Galli della Loggia (ma lo hanno sostenuto anche alcuni importanti pedagogisti come Benedetto Vertecchi)?

La risposta dipende, naturalmente, da quali sono i contenuti e i confini di tale “canone educativo occidentale”, che potremmo definire come l’insieme di riferimenti culturali (letteratura, filosofia, storia, arti, scienze, musica), che sono considerati rilevanti e meritevoli di essere custoditi e trasmessi dalle classi dirigenti di un Paese o di un insieme di Paesi, come quelli che fanno parte dell’occidente, o più precisamente da quella sua parte che è governata da sistemi politici liberal-democratici.

Pur con specificità locali in questi Paesi l’educazione, storicamente riservata alle élites nelle sue espressioni più elevate e raffinate, e solo recentemente rivolta ai ceti popolari, si è incentrata, come giustamente rileva Galli, sulla formazione del carattere degli allievi “attraverso i saperi delle sue varie discipline, dispensando ai giovani le più disparate conoscenze e lasciando che poi nell’animo di ognuno di essi quelle conoscenze, i libri letti, i pensieri e le emozioni nati nell’aula scolastica durante ogni ora di lezione, s’incontrassero con la sua indole, la sua fantasia, il suo animo e fecondandole dessero vita a quella cosa che si chiama la personalità“.

Da questo punto di vista è giustificato il timore che il disegno strategico dell’Ocse volto all’uni-formazione della cultura di base, dei valori e dei comportamenti di grandi masse popolari (anche attraverso il testing e le comparazioni internazionali come PISA) si ponga al di fuori del canone pedagogico occidentale come sopra definito, e lo stesso si può dire dell’operazione “competenze non cognitive”, o soft skills, lanciata dal disegno di legge approvato dalla Camera. È vero che si tratta di una sperimentazione triennale, che bisognerà vedere quale sarà la risposta della scuola, e in che cosa, e in che modo, si modificherà effettivamente l’azione didattica degli insegnanti. Ma non è insensato temere che il tutto si tradurrà in uno spreco di soldi, di tempo e di opportunità (di fare qualcosa di più utile). Chissà se il Senato avrà la stessa baldanzosa sicurezza con la quale la Camera ha approvato il disegno di legge.

Ma che fare? Qui Galli della Loggia non ci aiuta perché la sua polemica, per quanto fondata, è solo destruens. Proviamo a ragionare nella successiva notizia.

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Competenze non cognitive. L’anatema di Galli della Loggia ultima modifica: 2022-01-31T05:52:07+01:00 da
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