Così la scuola torna al centro

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di Michela Marzanoi,  La Stampa, 18.2.2021.

Gilda Venezia

Tutto ci si aspettava tranne che, subito dopo aver parlato del piano vaccinale, Mario Draghi si concentrasse sulla scuola. Ancor prima di affrontare i temi della transizione ecologica e della parità di genere, i problemi del Mezzogiorno e i progetti del Next Generation Eu, Draghi ha avuto il coraggio e il merito di soffermarsi sulla necessità di una transizione culturale. «Ogni spreco oggi è un danno che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti», ha detto il Presidente del Consiglio in apertura del proprio discorso a Montecitorio, citando la responsabilità, per tutto il Governo, di avviare una ricostruzione del paese, esattamente come la generazione dei nostri nonni e dei nostri padri ebbe la responsabilità di riprendere in mano il destino dell’Italia dopo il buio del Ventennio e la tragedia della Seconda Guerra mondiale.

Ma come si fa a ripartire se non si comincia dall’educazione e dalla cultura? Come si può immaginare il futuro se non si creano le condizioni stesse affinché i ragazzi e le ragazze, questo futuro, lo abbiano davvero? Sembrano domande retoriche, un’ovvietà. Soprattutto per chi, come me, nel mondo dell’educazione ci lavora da anni. Eppure nessuno, prima di Draghi, aveva osato dirlo e rivendicarlo. Concentrandosi sistematicamente sulle urgenze, sull'”oggi e subito” e sul consenso fluttuante, un po’ come quando si prendono ago e filo e si cerca di rammendare una vecchia camicia, invece di buttarla via e mettere da parte i soldi per comprarne una nuova. La scuola è d’altronde un investimento sul futuro; senz’altro il miglior investimento che si possa fare sebbene i frutti si possano raccogliere solo col passare del tempo. Forse è per questo che le parole di Draghi, ieri, sono arrivate come una boccata di ossigeno dopo mesi persi a litigare sul nulla, gli occhi puntati solo sul numero di “mi piace” messi sui propri post. Nuovo ossigeno dopo anni, aggiungerei, durante i quali si è parlato di scuola solo sui social – chi ha dimenticato il celebre hashtag renziano: #labuonascuola? – senza che nessun Premier si ponesse il problema di capire veramente che cos’è che non funziona nelle scuole, che cosa manca, dov’è il vero problema per tutti quei giovani che si perdono per strada, oppure ce la fanno a prendersi un diploma, ma poi non sanno come servirsene.

Certo, anche Draghi è consapevole dell’emergenza attuale, ossia della necessità di recuperare le ore di didattica in presenza e in sicurezza, e quindi di rivedere e modificare il calendario scolastico. Il vero punto sollevato dal Presidente del Consiglio, però, non è questo. Il punto è che la politica ha il dovere di portare avanti una riflessione profonda sulla cultura e sulla formazione, non solo dei più giovani, ma anche degli insegnanti. Una riflessione che non cancelli il solido patrimonio umanistico del nostro paese, ma che sia capace di innovazione sia a livello di contenuti sia a livello metodologico. Chi mi conosce sa che non sono un’amante della “scuola delle competenze”, almeno nella misura in cui, parlando di “competenze”, ci si riferisce alla logica aziendale e manageriale. Ma come può la scuola aiutare i più giovani se non è capace di adattarsi ai cambiamenti della società proponendo nuovi approcci metodologici e integrando aree umanistiche, scientifiche e multilinguistiche? Senza elasticità – mostrata da tanti insegnanti a titolo individuale in questi ultimi mesi – non si stimola né l’apprendimento né la creatività dei giovani. Mario Draghi sa che la chiave di volta per costruire il futuro del nostro paese sono l’educazione e la cultura. E ieri lo ha detto. Voltando così la pagina, si spera per sempre, dei Governi del “subito” e dell'”opportunismo mediatico”.

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Così la scuola torna al centro ultima modifica: 2021-02-18T07:35:15+01:00 da
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