di Fabrizio Reberschegg, dalla Gilda degli insegnanti di Venezia, 5.5.2022.
Si sceglie la strada dell’efficienza economica e della decostruzione del sistema scolastico tradizionale. Eliminando le bocciature e le valutazioni eccessivamente negative si risparmiano un sacco di soldi in bilancio riducendo organici e gli investimenti in istruzione.
Da più parti si stanno moltiplicando gli appelli e i progetti per smantellare tutto il sistema di valutazione che è uno dei pilastri della scuola pubblica statale. Si pensi alle posizioni di Macron, a quelle recenti di Giorgia Meloni e di tanti politici e sedicenti pedagogisti che trovano ampio spazio nella stampa nazionale.
Nel ’68 alcuni gruppi rivoluzionari extraparlamentari di sinistra chiedevano l’abolizione delle bocciature con il famoso “6 politico”. La loro convinzione era che in un sistema capitalistico governato dalla massificazione delle mansioni lavorative, con particolare riferimento alla mitica classe operaia, la scuola non potesse discriminare l’accesso al lavoro e alle professioni perché la valutazione in senso censorio divideva gli interessi delle masse proletarie imponendo loro comportamenti competitivi che legittimavano l’esistenza delle differenze di classe. Era una richiesta fatta propria da alcuni movimenti studenteschi e che ha segnato un periodo che ora appare giustamente preistorico.
Il paradosso delle storia è che ora sono proprio i nemici di classe di quei movimenti rivoluzionari che si stanno facendo carico di smantellare il sistema dei voti e delle valutazioni nella scuola in nome di una liberalizzazione degli accessi nel mercato del lavoro e degli studi superiori e della teoria dell’inclusione scolastica intesa come divieto di giudicare negativamente l’impegno insufficiente degli allievi. Ciò evita, a loro avviso, discriminazioni, frustrazioni personali, dispersione scolastica e di fatto colpevolizza i docenti che diventano i soli responsabili di ogni fallimento scolastico. Non a caso si stanno verificando sempre più spesso ingerenze pesanti nei confronti della libertà di insegnamento con interventi da parte delle famiglie e dei dirigenti scolastici. Il modello dell’autonomia scolastica e della centralità del cliente famiglia-allievo tende a sanzionare i sistemi di valutazione di tanti docenti definiti legati a “comportamenti obsoleti” e non in grado di capire la “sofferenza” che un voto negativo determina nei confronti degli studenti.
Molti docenti, avendo capito l’antifona e per evitare problemi con famiglie e dirigenti, si stanno arrendendo distribuendo voti e giudizi gonfiati in positivo. Ma non basta. Non mancano infatti i ricorsi contro i voti troppo bassi, anche se del tutto sufficienti. Sembra che per molte famiglie avere una promozione con la media del 6 sia un’onta, con la media del 7 una sottovalutazione offensiva delle competenze dei figli. Dalla media dell’otto in poi si può stare più tranquilli, ma non troppo.
Non importa che l’INVALSI certifichi ogni anno che i livelli di preparazione degli allievi siano preoccupanti e tendenti ad un abbassamento costante. Di fronte a questi risultati il sistema politico-amministrativo risponde scaricando sull’incapacità dei docenti di affrontare “le nuove sfide” delle competenze e della didattica “innovativa”. Ma resta il fatto che la dispersione scolastica e i problemi di apprendimento e di conseguimento delle promesse “competenze” per gli allievi siano legati a problemi che sono legati al contesto socio-economico e culturale che caratterizza importanti parti del Paese. La scuola e gli insegnanti non possono risolverli da soli. Men che mai il sistema politico-economico attuale, caratterizzato dalla prevalenza di impostazioni neoliberiste, è in grado di risolverli. E allora? Si sceglie la strada dell’efficienza economica e della decostruzione del sistema scolastico tradizionale. Eliminando le bocciature e le valutazioni eccessivamente negative si risparmiano un sacco di soldi in bilancio riducendo organici e gli investimenti in istruzione. Lo Stato cessa quindi di essere certificatore di conoscenze e reali competenze demandando al mercato la decisione riguardo alle capacità di inserimento dello studente in possesso di un portfolio che è solo un curriculum spesso gonfiato da titoli acquistati nel mercato della formazione e delle università telematiche.
Si creerà un popolo di ignoranti, realmente incompetenti, che, se non supportati dalle reti familiari e dalle “conoscenze”, sarà costretto ad una vita di precariato, di lavoretti o, peggio ancora, di assistenzialismo. Sarà un popolo di eterni adolescenti che hanno bisogno dell’aiuto di qualcuno per risolvere qualsiasi problema dopo anni in cui nessuno ha avuto il coraggio e la possibilità di sanzionare limiti, colpe ed errori.
Quello che Potere Operaio non è riuscito a fare alla fine degli anni sessanta del secolo precedente, è ora, con caratteristiche radicalmente diverse, in agenda della politica italiana e non solo.
Resta solo la possibilità di far sentire le voci dissenzienti rispetto a tale deriva, di resistere come docenti e di far valere ancora una autonomia professionale che troppi vorrebbero eliminare. Bisogna non avere paura di esprimere apertamente opinioni contrarie. Non siamo ancora in una dittatura.
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Dal 6 politico della sinistra rivoluzionaria del ’68 al 7 politico della scuola dell’innovazione ultima modifica: 2022-05-05T04:21:37+02:00 da