Decreto PA2: nuovi concorsi, ovvero la vita è tutta un quiz

inviato da Alvise Vianello, 21.6.2023.

Lo Stato Italiano getta la spugna sui concorsi e delega il tutto ad algoritmi, esperti e università. Il concorso rischia di diventare una burla

Gilda Venezia

Con l’approvazione del decreto PA 2, il governo, anche in attuazione delle linee guida approvate nel precedente decreto PA, interviene per snellire le procedure concorsuali nella scuola. Si tratta di un ulteriore abbassamento dei requisiti per accedere alla professione di insegnante, ormai identificata dall’amministrazione alla stregua di posizione impiegatizia. In concreto le prove scritte si svolgeranno per tutto il periodo di vigenza del PNRR con l’ausilio di mezzi informatizzati e con più quesiti a risposta multipla. Al termine del periodo di attuazione del PNRR, si potrà optare per una prova scritta con più quesiti a risposta aperta gestiti da Università, consorzi universitari, enti pubblici di ricerca o Formez, con la possibilità di introdurre una prova preselettiva (a crocette?). E’ prevista una prova orale che potrà essere svolta attraverso un test specifico (!!!). Il tutto senza il coinvolgimento dei docenti in servizio e delle loro associazioni professionali.

Tralasciando le altre novità del decreto sulle quali bisogna attendere i decreti attuativi, un fatto appare chiaro: lo Stato Italiano getta la spugna sui concorsi e delega il tutto ad algoritmi, esperti e università.

Un concorso serio per una professione che dovrebbe essere apicale come quella dell’insegnante (il docente dovrebbe solo rispettare le leggi, la Costituzione senza vincoli di subordinazione gerarchica sulla natura della professione) rischia di diventare una burla, un terno all’otto.
I concorsi per l’insegnamento dovrebbero invece vedere mobilitate commissioni fatte da docenti con scritti sulle competenze disciplinari e didattiche e orali di presentazione di contenuti disciplinari mediante l’applicazione di adeguate tecniche e metodologie didattiche. Una volta si faceva così e hanno coinvolto centinaia di migliaia di insegnanti e di aspiranti tali. Il problema era che  l’indizione almeno biennale dei concorsi aveva un costo per l’amministrazione derivato dalla composizione delle commissioni e dai tempi di espletazione delle procedure.
Invece di efficientare le procedure e snellire i rituali passaggi burocratici per anni si è preferito non fare concorsi ordinari, o farne con commissioni prive di esonero dalle lezioni e che lavoravano dopo le normali attività didattiche, creando quasi ad arte il problema del precariato di massa nella scuola al quale si sono date frammentarie risposte con provvedimenti confusi e spesso legati alla ricerca del consenso da parte delle forze politiche al governo di turno. Il tutto ha avuto costi diretti e sociali enormi con effetti deleteri sulla qualità dell’insegnamento, sul rispetto della figura del docente e gli assetti didattici delle scuole (si pensi alla mancanza strutturale della continuità didattica).

Il fenomeno prevedibilissimo della massa di pensionamenti delle generazioni dei docenti assunti con concorso negli ani ottanta e novanta del secolo scorso ha accentuato il problema della penuria di docenti, problema aggravato dalla mancata rivalutazione stipendiale e sociale della professione che non ha favorito la scelta dell’insegnamento come professione per molti laureati. Molti hanno vissuto l’insegnamento come ripiego, come semplice posto di lavoro statale, malpagato ma sicuro.

Che dovrebbe fare allora un governo serio? Dovrebbe reinvestire sui docenti, sui loro stipendi, sulle procedure di abilitazione valorizzando l’esperienza dell’insegnamento diretto e concreto svolto nella scuola e soprattutto riconoscendo ai docenti uno status professionale e una autorevolezza  spetta loro di diritto. Tutto ciò pare non essere nel dna della nostra classe politica, passata e presente.

Il dibattito strumentale che si rischia di innescare con la sacrosanta critica ai concorsi per test è quello finalizzato a legittimare tout court l’eliminazione delle prove concorsuali facendo valere solo i “titoli”, periodi di servizio come supplenti o titoli culturali raccogliticci e spesso acquistati da enti e università pronti ad offrire CFU e certificazioni come in un sito Amazon.
Una simile prospettiva trova ampio consenso nel mondo del precariato della scuola (essere assunti senza prove di verifica serie e selettive è una bella consolazione), ma non risolve il problema di fondo: che conoscenze, competenze e percorsi di studio dovranno possedere i futuri insegnanti?
Saranno necessari, come prevede la Costituzione, concorsi pubblici e serie verifiche dei requisiti di accesso, oppure lo Stato delegherà il tutto all’autonomia differenziata delle regioni o, peggio ancora, alla chiamata diretta dei dirigenti scolastici-manager?

Per il momento resta il test a crocette…

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Decreto PA2: nuovi concorsi, ovvero la vita è tutta un quiz ultima modifica: 2023-06-21T05:05:51+02:00 da
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