di Valentina Aprea, Il Sole 24 Ore 25.5.2015.
Inizialmente, il documento programmatico sulla Buona Scuola sembrava ispirato da quei valori della cultura liberale, per la costruzione anche in Italia di un sistema scolastico moderno ed efficace: merito, carriera dei docenti, valutazione, autonomia statutaria, apertura al territorio, selezione dei docenti ed integrazione tra il sistema di istruzione e formazione ed il sistema imprese.
La traduzione del documento in disegno di legge ed il successivo iter legislativo alla Camera hanno sostanzialmente tradito quella visione iniziale, indebolendo l’impianto complessivo della riforma.
Autonomia
In particolare, l’autonomia scolastica non fa concreti passi avanti rispetto all’originaria previsione del DPR 275 del 1999, non affrontando gli aspetti decisivi della piena autonomia finanziaria, dell’autonomia statutaria e della revisione degli organi collegiali.
È stata poi emblematica anche la ridefinizione del ruolo del dirigente scolastico, di fronte alle prime proteste per un dirigente con troppi poteri nella definizione del piano dell’offerta formativa e nella valutazione dei docenti. Infatti, il testo approvato ha riportato al centro dell’organizzazione scolastica la governance collegiale, rafforzando il ruolo del collegio dei docenti e del comitato di valutazione, nel solco di una dimensione partecipativa risalente ancora ai Decreti Delegati del 1974. Non c’è stata anche in questo caso la capacità di dotare la scuola italiana di un modello organizzativo innovativo ed efficiente, sull’esempio di molte altre realtà europee.
Risulta stravolta la stessa possibilità di scegliere gli insegnanti da Albi territoriali, in cui molti avevano riconosciuto elementi della mia proposta di legge del 2008 che prevedeva la costituzione di Albi di docenti abilitati da assumere attraverso concorsi a livello di reti di scuole. Il testo approvato dalla Camera mantiene il concorso nazionale e la scelta da parte delle scuole da un Albo di docenti già assunti dallo Stato, con il rischio di situazioni paradossali, come il fatto che alcuni docenti resteranno senza proposte di incarico e saranno collocati d’ufficio nelle scuole. D’altra parte, i dirigenti potrebbero tendere ad operare la scelta dei docenti con una gestione burocratica, per timore di ricorsi amministrativi.
Merito
Anche per quanto riguarda la premialità del merito dei docenti, l’impianto iniziale vedeva la trasformazione degli scatti automatici di anzianità in riconoscimenti da assegnare ai docenti in base al loro valore ed ai loro risultati. La prevedibile opposizione sindacale ha ottenuto facilmente di non ridurre la centralità degli scatti di anzianità ed il Governo è intervenuto con una spesa di sole 200 milioni di euro per interventi premiali, definiti da un comitato di valutazione composto in buona parte dalla stessa categoria dei docenti, oltre che da una rappresentanza di genitori e studenti.
Minime le novità anche per la scuola paritaria, ancora ben lontana dal veder riconosciuto il proprio ruolo nel sistema educativo pubblico. Il riconoscimento della detrazione delle spese sostenute per la frequenza è un’operazione al più simbolica, con un massimo di 400 euro all’anno di detrazione per studente, che con un’aliquota del 19%, porterà 76 euro l’anno di risparmio alle famiglie.
Reclutamento e precari
Inoltre, è doveroso fare chiarezza sul piano straordinario di assunzioni: il reclutamento di 100 mila docenti ope legis non porrà fine al precariato, sebbene siano state strumentalmente potenziate le discipline per creare cattedre aggiuntive e si sia previsto l’organico funzionale.
Poiché la causa storica del precariato della scuola è il processo di abilitazione senza relazione con il fabbisogno di docenti, l’unico intervento possibile per sancirne la fine è operare una programmazione pluriennale delle assunzioni e collegare strettamente i percorsi di abilitazione con il fabbisogno di insegnanti nelle scuole, come è stato fatto con il Tirocinio Formativo Attivo (TFA) a numero chiuso.
Alternanza scuola-lavoro
Invece, l’intervento che merita apprezzamento è il rilancio del rapporto tra scuola e impresa, con il rafforzamento dell’alternanza scuola lavoro, introdotta con la Legge 53/2003 (riforma Moratti). Non vi è dubbio che va favorito un incontro delle nuove generazioni con la realtà delle imprese, portando gli studenti a studiare in azienda, per aiutarli ad orientarsi nel loro futuro professionale, scoprendo anche quanto il lavoro possa essere formativo e superando il mismatch tra le competenze promosse dalla Scuola e quelle richieste dal mondo del lavoro. Ciò potrà contribuire significativamente favorire la transizione dalla scuola al lavoro ed a far dialogare maggiormente la scuola con le aziende, oggi ancora troppo spesso confinati in mondi che parlano linguaggi troppo diversi. Tuttavia, il testo della Legge non valorizza e non sostiene l’esperienza positiva del sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), che negli ultimi dieci anni ha già realizzato tutto ciò per centinaia di migliaia di studenti, attraverso una didattica per competenze in stretto rapporto con la realtà ed i fabbisogni del mondo del lavoro. Sicuramente, per la IeFP la Buona Scuola è una buona occasione mancata.