Il ministro del merito e la futura classe dirigente

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Astolfo sulla luna, 4.11.2022.

Gilda Venezia

È stupefacente come la scuola italiana si stia dotando di un orpello di “organelli” assolutamente pleonastici ma dai nomi altisonanti: Comitato Tecnico Scientifico, Nucleo interno di valutazione, Gruppo di lavoro PNRR e via dicendo, in un crescendo di assurde ridondanze burocratiche “approvate” da attoniti Collegi Docenti a cui vengono ammannite vaghe notizie sui compiti che dovrebbero svolgere.

La malattia parte da lontano, dalla famosa autonomia delle istituzioni scolastiche voluta nel 1998 dal ministro Luigi Berlinguer. Passato un quarto di secolo, la povertà intellettuale che solitamente contraddistingue il “dibattito” all’interno degli organi collegiali è ormai data per scontata. Non ci si può aspettare chissà quale autonomia di pensiero da chi viene chiamato a far parte degli organelli di cui sopra, selezionato fra schiere di signorsì che attorniano dirigenti scolastici sempre più attizzati dalla cupidigia del potere.

Ed è dentro tale panorama desolante che irrompe una nuova compagine politica, completa di ministro e sottosegretari. Non che ci fosse da gioire delle direttive dei ministri che hanno preceduto l’attuale Valditara, né da deliziarsi dei vacui proclami e delle banali esternazioni dei medesimi.

Ma un segnale preciso sembra essere stato dato, ed è quello del merito. Siamo d’accordo che in Italia, il paese delle tessere, delle raccomandazioni e del familismo amorale, una gerarchia sociale che tenesse maggiormente conto del merito personale non sarebbe un male, però è da almeno 60 anni che ci è stato additato il pericolo di una società meritocratica.

Come è noto, l’inglese Michael Young – dopo che nell’immediato secondo dopoguerra ne aveva perorato la causa – in L’avvento della meritocrazia, del 1958 immaginò viceversa un’ipotetica società del 2033 creata da riforme ispirate all’uguaglianza delle opportunità e alla misurazione scientifica dell’intelligenza. Anziché tuttavia realizzare un ideale democratico, quella società finiva per riprodurre diseguaglianze profonde tra un’élite meritevole – composta da individui con un alto quoziente intellettivo – e un insieme di classi subalterne meno meritevoli e capaci, e per questo condannate alla privazione: ciò si è avverato molto prima del previsto nelle società anglosassoni.

Ora se, seguendo il Maestro Norberto Bobbio, partiamo da una “definizione minima di democrazia, secondo cui per regime democratico s’intende primariamente un insieme di regole di procedura per la formazione di decisioni collettive, in cui è prevista e facilitata la partecipazione più ampia possibile degli interessati” e – sulla scorta dell’analisi del suo allievo Gianfranco Pasquino (2019) – ne individuiamo i seguenti punti critici:

  1. “la sovranità degli individui espropriata dal pluralismo dei corpi e dei gruppi intermedi;
  2. la rappresentanza politica schiacciata dalla rappresentanza degli interessi;
  3. la non eliminazione delle oligarchie;
  4. la mancata democratizzazione di molte strutture (burocrazia e forze armate, ma anche le scuole e le fabbriche);
  5. la sconfitta della trasparenza a fronte degli arcana imperii;
  6. l’incompiuta crescita culturale del cittadino democratico.”

Ebbene, il quarto e il sesto punto riguardano direttamente la scuola, confermati sia dalla correlazione positiva fra i dati sulla dispersione scolastica e l’emarginazione socioculturale, sia dall’analfabetismo di ritorno di una crescente fetta di elettori.

Sorge a questo punto spontaneo il quesito: è possibile che la scuola torni ad avere il ruolo di ascensore sociale? Viene in mente la recente intervista ad un neoministro: lui – che proveniva da una famiglia di piccoli commercianti – si era iscritto ad un liceo ginnasio di provincia, e si sentì dire dalla docente di greco che quella scuola non faceva per lui. Sono ancora pensabili situazioni simili dopo cinquant’anni? È ancora valida nella società liquida del ventunesimo secolo la formula (QI+impegno)= merito?

E ammesso che i giovani talenti, provenienti dagli strati sociali più umili, con grande sforzo riescano a farsi largo nella nostra società ipercompetitiva, saranno poi essi, una volta conquistati i ruoli di vertice, disposti ad aiutare quelli che, o perché meno intelligenti, oppure anche per aver preso qualche sbandata da adolescenti, versano in condizioni socioeconomiche disagiate?

E ancora, esisteranno ancora insegnanti, dipendenti di un ministro del merito, in grado di crescere i loro studenti in un clima culturale che favorisca l’attenzione al bene comune?

4 novembre 2022                                                                                                                            Astolfo sulla Luna


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Il ministro del merito e la futura classe dirigente ultima modifica: 2022-11-05T13:40:26+01:00 da
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