Inclusione. Galli della Loggia nella bufera

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Molte scuole in autonomia ci provano.

Gilda Venezia

Non è la prima volta che le opinioni sulla scuola espresse da Ernesto Galli della Loggia, storico ed editorialista del Corriere della Sera, provocano polemiche. Questa volta a suscitare un vespaio di reazioni, al limite dell’indignazione, è un breve passaggio di un suo articolo, pubblicato lo scorso 12 gennaio (poi ribadito e argomentato più approfonditamente il 21 in un secondo intervento), dedicato anche ad altri argomenti, nel quale Galli condivide la tesi espressa da Giorgio Ragazzini – noto esponente del conservatore “Gruppo di Firenze” – che in un suo recente libro ha affermato che, al di là delle apparenze (“Sulla carta tutto è previsto, tutto funziona, e alla fine tutti sono promossi“), la qualità della scuola italiana è peggiorata anche in conseguenza del successo in essa registrato di alcuni “miti” come quello dell’inclusione. “In ossequio al quale“, scrive Galli, “nelle aule italiane – caso unico al mondo – convivono regolarmente, accanto ad allievi cosiddetti normali, ragazzi disabili anche gravi con il loro insegnante personale di sostegno (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con i Bes (Bisogni educativi speciali: dislessici, disgrafici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie) e dunque probabili titolari di un Pdp, Piano didattico personalizzato, e infine, sempre più numerosi, ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola d’italiano. Il risultato lo conosciamo“.

Furibonda la reazione della Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che respingendo le “inaccettabili parole” di Galli della Loggia ha chiesto al ministro Valditara di convocare urgentemente l’Osservatorio ministeriale permanente sull’inclusione scolastica e di riprendere il confronto sulla proposta di Legge sull’inclusione degli alunni con disabilità, caldeggiata dalla stessa Fish fin dal 2021, che garantiva la continuità didattica dei docenti di sostegno, prevedendo anche un’apposita cattedra. Una valanga di critiche, e anche qualche insulto, ha invaso i social e le chat in rete. Il leit motiv di queste critiche, condivise anche da autorevoli psicopedagogisti (in prima linea Dario Ianes) è più o meno sempre lo stesso: Galli guarda alla scuola del passato, fondata sulla selezione, mentre la scuola del futuro, verso la quale spingono anche i processi in corso di digitalizzazione della didattica, è quella della personalizzazione e dell’inclusione.

Il ministro Valditara, che della personalizzazione ha fatto una bandiera, ha un’occasione per passare dalle promesse ai fatti.

A Ernesto Galli della Loggia – che ha avuto anche l’onestà intellettuale di ammettere di “aver sbagliato quando ha voluto racchiudere una questione complessa come il principio di inclusione nella scuola italiana in pochissime righe” – il merito di riportare il tema al centro delle riflessioni. Oggi è importante che se ne parli, con la speranza che chi di dovere si attivi velocemente a scegliere e ad avviare un processo di cambiamento necessario.

Dice bene Galli sul profilo del docente di sostegno (“nella maggioranza dei casi non ha alcuna preparazione specifica”), approfondisca anche quello degli educatori professionali e degli specialisti (psicologi, neuropsichiatri infantili, logopedisti, fisioterapisti…). Dice bene ma non propone alternative concrete, pone domande fondate ma non pensa dentro ciò che è concesso nella società di oggi: diritto-dovere all’istruzione per tutti, personalizzazione e successo formativo.

Se ci fosse la volontà di fare un’analisi scientifica e rigorosa dello stato dell’arte si potrebbe pensare a quella giusta via di mezzo in grado di garantire a ciascuno il meglio.

Molte scuole in autonomia ci stanno provando cercando di ridefinire team di lavoro su misura, percorsi integrati con il territorio, personalizzazione del curricolo.

Nel Belpaese, da Caltanissetta fino a Trento, abbiamo più velocità e più pensieri che spesso non si incrociano e non si supportano per un cambiamento significativo: i giornalisti che urlano “al lupo a lupo”, gli accademici che enunciano dall’alto del loro sapere che cosa dovresti fare nel rispetto universale di principi studiati a tavolino e le persone di scuola, quelle che si sporcano le mani tutti i giorni, senza pregiudizi, ma come ricercatori sul campo che con ciò che hanno a disposizione cercano di fare il meglio che possono. Per non buttare “il bambino dell’inclusione” nell’acqua sporca, appunto.
Sono i docenti, i dirigenti scolastici, il terzo settore e le famiglie che da tempo hanno capito che parlare di inclusione significa che c’è qualcuno che sta fuori e qualcuno che sta dentro, e che quel dentro va bene e quel fuori non è degno di una società avanzata e civile.

Da tempo chi lavora a scuola – intendiamo chi lo fa con competenza e passione, non sono certo tutti ma sono tanti – è “oltre”, da tempo è solo ma continua a ricercare le soluzioni migliori per tutti e per ciascuno (“la scuola è per tutti solo se è per ciascuno“… diceva un prete alla fine degli anni Sessanta…).

Inclusione. Galli della Loggia nella bufera ultima modifica: 2024-01-22T07:14:28+01:00 da
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