Istituti tecnici, chi li ha distrutti davvero?

di Corrado Zunino, la Repubblica, 7.4.2023.

Fact checking delle parole della ministra Santanchè.

Gli interventi di Giorgia Meloni e della titolare del Turismo al Vinitaly portano avanti una vulgata falsa: non è stata la sinistra a penalizzare le scuole “che danno un lavoro”. Nel 2003 fu il governo Berlusconi a proporre otto licei, affidando alle fragili Regioni il comparto professionale. I tagli della successiva riforma Gelmini (2011) affossarono le scuole destinate a industria e artigianato

Gilda Venezia

ROMA – È un topos della destra, un argomento dialettico e retorico, quello che la sinistra contemporanea dai suoi salotti guardi esclusivamente ai licei e sulla scuola si dimentichi dei figli dei ceti popolari e delle loro necessità lavorative. Giorgia Meloni e Daniela Santanchè a Vinitaly – la presidente del Consiglio e la ministra di un Turismo vecchia maniera – vanno oltre quello che in questi primi sei mesi ha detto sul tema il pur loquace Giuseppe Valditara, che sugli istituti tecnico-professionali e, in generale, “la scuola del lavoro” dovrebbe avere la regia.

“In un mondo in cui è stato detto che se avessi scelto il liceo avresti avuto un grande sbocco nella tua vita, e se invece avessi scelto un istituto tecnico avresti avuto opportunità minori, dimentichiamo che in questi istituti, e qui parliamo del tecnico agrario, c’è una capacità di sbocco professionale molto più alta di altri percorsi, questo è il liceo”, ha detto Meloni, che si è diplomata con 60 sessantesimi all’Istituto professionale alberghiero Amerigo Vespucci di Roma, dove ha frequentato l’indirizzo linguistico. “In Italia in questi anni è stato un po’ distrutto quello che era l’istituto tecnico”, ha detto a sua volta Santanchè. “Abbiamo avuto una sinistra che ha invogliato i giovani a fare i licei. Questo governo vuole invece mettere al centro le scuole tecniche”. Lei, Santanchè, figlia di imprenditore cuneese, il liceo lo ha frequentato da ragazza per poi prendere una laurea in Scienze politiche a Torino.

I tecnici, e anche i professionali: le scuole del lavoro. I licei: le scuole del sapere astratto. Una vecchia dicotomia, che una scuola moderna dovrebbe essere in grado di superare. La liceizzazione dell’Italia moderna, intanto, è opera della Riforma Moratti, anno 2003, legge numero 53, con Letizia Moratti ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del Governo Berlusconi II: esattamente “la destra” del nascente millennio. Il decreto legge numero 226 portò, due anni dopo, a quota otto i licei esistenti all’interno della riconosciuta organizzazione tripartita della scuola italiana (licei, istituti tecnici e istituti professionali). Al Classico, allo Scientifico e all’Artistico, la “Moratti” ne aggiunse cinque: il Liceo economico, il Musicale, il Tecnologico, il Liceo delle scienze umane e il Coreutico. Fu una riforma tipicamente gentiliana, con una netta separazione tra istruzione alta da una parte e tecnico-professionali dall’altra. Grazie alla spinta della Lega Nord, la legge provò – senza riuscirci, in verità – a spostare l’istruzione professionale sulle fragili spalle delle Regioni. Non a caso, la Riforma Moratti (che abolì la Legge Berlinguer di sole tre stagioni precedente) fu fortemente criticata dalla stessa Confindustria, che vedeva marginalizzata l’istruzione tecnica e professionale.

I tagli di Gelmini: “Con la cultura non si mangia”

Premiando gli studenti di un Istituto agrario (un tecnico), Meloni e Santanchè parlano in verità di entrambi gli indirizzi scolastici che, per fama, “costruiscono giovani per il lavoro”. I tecnici (l’agrario, appunto, e il commerciale, il turistico, l’industriale, l’informatico) e i professionali (l’alberghiero, gli istituti per l’industria, l’artigianato, l’agricoltura e la pesca). Bene, ancora più feroce sul fronte dell’apprendimento lavorativo nella storia contemporanea scolastica è stata la Riforma Gelmini, avviata per le superiori nel 2010-2011 e andata a pieno regime quattro anni dopo.

A fronte di un riordino dei licei, che da otto diventarono sei, la compressione della scuola italiana voluta dal ministro delle Finanze Giulio Tremonti e applicata dalla ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini (entrambi di Forza Italia) ispirò un taglio delle ore degli insegnamenti “di indirizzo” negli istituti tecnici e professionali. Per esempio, la materia “Tecnologie e disegno” ha visto ridurre di un terzo le ore di lezione nei tecnici e, conseguentemente, le relative cattedre, il personale docente.

E’ un dato di fatto che con queste premesse, l’allargamento del numero di scuole rientranti sotto l’egida del “liceo” e i tagli gelminiani votati sull’onda “con la cultura non si mangia” (ancora ministro Tremonti, che di recente ha negato quella paternità linguistica), gli istituti tecnico-professionali sono usciti dai radar delle famiglie per la scelta scolastica dopo i tre anni di medie. In particolare, le iscrizioni agli istituti professionali dal 2003 (Riforma Moratti, appunto) al 2019 si sono dimezzate passando dal 27,4 per cento del totale al 14,4 per cento. Gli istituti tecnici hanno perso sette punti percentuali, ma nelle ultime stagioni sono tornati a richiamare allunni: oggi accolgono un terzo degli studenti del Paese.

Nel 2017, con una delega della Buona scuola (Governo Renzi, centrosinistra, seguito poi dall’esecutivo Gentiloni, centrosinistra), il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi provò a cambiare ancora la scuola professionale. Prima del 2011, i settori erano cinque con ventisette indirizzi. Con la Gelmini ministra, furono accorpati in due macrosettori con sei branche. La Riforma Toccafondi riallargò gli indirizzi, da sei a undici, agganciandoli alle attività economiche di rilevanza nazionale.

Questo intervento, fatto tuttavia a costo zero, non fu certo sufficiente per ridare un senso forte a un comparto che in altre aree d’Europa – a partire dalla Germania – è da sempre al centro dell’istruzione. Da noi, nelle ultime stagioni gli istituti professionali, poveri di laboratori, sono diventati sempre più spesso il teatro del bullismo di studenti demotivati nei confronti dei professori. Nell’ultima stagione si è iscritto a un istituto professionale il 12,1 per cento dei quattordicenni: un adolescente su otto. Gli istituti tecnici – al contrario di quanto sostengono Meloni e Santanchè – hanno mantenuto le loro quote di studenti. E al loro interno le scuole economiche, in queste stagioni, sono cresciute.

L’esperienza di successo degli Itis

Va detto che, in questi tentativi (poco riusciti) di professionalizzare la scuola italiana ancorata ai licei di Primo novecento, è stato un governo di centrosinistra (ancora Renzi con Stefania Giannini ministra) a rendere obbligatoria l’Alternanza scuola lavoro nel triennio delle superiori. E sono figli della fase finale del Governo Prodi bis, gennaio 2008, gli Istituti tecnici superiori, l’Itis post-Maturità (si chiama offerta formativa post-secondaria non universitaria professionalizzante) che con la sua specializzazione di due anni hanno dimostrato presto di essere un’idea di successo, mutuata dalle Fachhochschule tedesche.

Con Mario Draghi premier, infine, la scuola che porta al lavoro si è affidata alle inedite e voluminose risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Ecco, il topos “la sinistra vuole licealizzare tutto” non regge. Anche perché il futuro Liceo del Made in Italy di ispirazione meloniana sarebbe altra acqua portata a questo fiume.

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Istituti tecnici, chi li ha distrutti davvero? ultima modifica: 2023-04-09T06:36:02+02:00 da

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