La buona scuola ripete l’anno

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di Salvo Intravaia. Video Alessandro Cecioni e Kami Fares, Repubblica Le inchieste, 5.7.2016

 -Precariato, supplenze, arretratezza e demotivazione degli insegnanti, scollamento con il mondo del lavoro, sicurezza degli edifici. La riforma fortemente voluta da Renzi dopo la sua prima applicazione, come raccontiamo nel dettaglio, ha centrato solo in piccola parte gli obiettivi. Riuscirà a colmare il divario nella nuova stagione scolastica? Le premesse purtroppo sembrano essere negative e l’autunno, dai prof fuori ruolo ai posti vacanti, si annuncia ancora una volta “caldo” e ricco di disagi

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  • Saldo negativo e previsioni fosche
  • Alternanza con il lavoro promossa con riserva
  • Per lo stop alle supplenze bisognerà aspettare
  • Chiamate dirette al via sotto la lente Anac
  • Lotta titanica ai crolli, ma il rischio rimane

Saldo negativo e previsioni fosche

di SALVO INTRAVAIA

ROMA – Promessa tradita o solo rinviata? Con la riforma, enfaticamente battezzata Buona Scuola, Matteo Renzi era convinto di poter finalmente guarire medie e licei, elementari e istituti professionali dai loro mali cronici. E in tempo brevi. Basta masse di docenti precari, demotivati e indietro con i tempi digitali, basta girandole di supplenti, basta incomunicabilità tra il mondo dell’insegnamento e quello del lavoro. Basta docenti costretti ad aggiornarsi a proprie spese. E basta soffitti che crollano in testa ad alunni e insegnanti. Buoni propositi che il bilancio del primo anno di applicazione della legge, come vedremo nel dettaglio, ha disatteso ampiamente.

Vista la gravità di una malattia che affligge la nostra scuola da decenni, forse pensare che pochi mesi potessero essere sufficienti per proiettarla nel terzo millennio era illusorio. Quel che preoccupa maggiormente è semmai la distanza del primo bilancio dagli obiettivi fissati e soprattutto le premesse con cui si appresta a partire il secondo anno di Buona Scuola, con all’orizzonte tante incognite e poche certezze, un avvio tutto in salita e nel caos per via degli insegnanti che non saranno nominati in tempo.

Le notizie che arrivano da ministero, provveditorati e fonti sindacali, parlano per il 2016/17 di un avvio di anno in salita e di un concorso per 64mila cattedre che, a causa di commissioni sorprendentemente troppo severe, non riuscirà a coprire tutti i posti messi in palio e che non si potrà neppure concludere entro i tempi necessari a spedire tutti i docenti in cattedra già a settembre, come invece annunciato. La previsione è che la metà dei posti rimarrà vacante per le troppe bocciature. Più realistica semmai l’ipotesi che per assumere la totalità dei vincitori occorrerà attendere il 2017. Così come le previsioni annunciano 60/80mila docenti inseriti nei nuovi ambiti territoriali chiamati direttamente dai presidi, in alcuni casi con colloqui con domande troppo “sul personale” (ma che potranno cambiare sede dopo la nomina) e di migliaia di posti destinati a restere vacanti ancora per un altro anno. Cattedre da assegnare agli immancabili supplenti di cui la riforma si sarebbe voluta sbarazzare, tagliando così finalmente i costi di gestione dell’istruzione.

Pronostici foschi per l’anno che si avvia ad apertura anche al capitolo bonus sul merito degli insegnanti, che nella passata stagione scolastica ha creato mille divisioni all’interno delle scuole, e sulla eccezionale mole di lavoro che ancora una volta toccherà ai “super presidi” per mettere in pratica i diversi aspetti della riforma. O, ancora, di un’alternanza scuola-lavoro che necessità sicuramente di una messa a punto anche se non sembra essere andata poi così male come si temeva.

Tra le poche certezze nel primo bilancio di Buona Scuola c’è stato il gruzzolo per l’aggiornamento distribuito ad ottobre: 500 euro a docente per l’acquisto di libri, spettacoli cinematografici e teatrali, corsi di aggiornamento ed altro. E il Piano nazionale Scuola digitale che sta cercando di modernizzare attrezzature, strutture e metodi di insegnamento. Per Pino Turi, della Uil  “lo scorso anno, i problemi sono stati messi sotto il tappeto o rinviati: i veri effetti della legge 107 si vedranno il prossimo anno”. “Governare un settore delle dimensioni della scuola senza la collaborazione del personale e il coinvolgimento dei sindacati – continua Turi – è illusorio ed avventuroso per l’esecutivo”.

E, aggiunge Lena Gissi, a capo della Cisl scuola, “non è neppure detto che gli alunni troveranno tutti i docenti in classe per l’avvio delle lezioni” perché “contrariamente agli anni passati, tutte le operazioni sul personale (immissioni in ruolo, assegnazioni provvisorie e utilizzazioni per un anno) dovranno concludersi entro il 15 e non entro il primo settembre, come stabilì la Gelmini nel 2008. Così, la nomina dei supplenti arriverà soltanto dopo”. In parecchie regioni – Lombardia, Piemonte, Veneto, Umbria, Sicilia solo per citarne alcune – la prima campanella suonerà però prima di questa data. E quello di ritrovarsi la squadra dei docenti completa a novembre è più una certezza che un rischio. Domenico Pantaleo, alla guida della Flc Cgil, è decisamente pessimista. Parla di “contraddizioni, disfunzioni e incertezze che minacciano di scaricarsi sul prossimo anno scolastico, facendo ripiombare gli istituti nelle innumerevoli emergenze quotidiane”.

Anche i presidi, solitamente meno pregiudizialmente ostili alle novità, non sembrano ottimisti. “Sarà un altro anno di fuoco per le tante incombenze cui dovremo far fronte per la piena attuazione della legge 107″, sottolinea Paolino Marotta, dell’Andis. “Nei prossimi mesi – prevede – i nodi verranno al pettine”. E snocciola una serie di questioni su cui dovrà concentrarsi da subito: dai criteri per attribuire il bonus premiale ai docenti, all’esonero dei vicari, passando proprio per la valutazione dei dirigenti scolastici, che parte a settembre. “Si può ben immaginare quale autunno caldo si preannuncia”, conclude Marotta.

Francesca Puglisi, Responsabile nazionale Scuola del Pd che la Buona Scuola l’ha tenuta a battesimo al Senato, difende le scelte del governo Renzi. “Dopo anni di tagli, ha aumentato di 3 miliardi all’anno l’investimento nella scuola”. La parlamentare democratica ricorda quindi tutti gli obiettivi centrati: dalle assunzioni al bonus da 500 euro a favore degli insegnanti, dalla maggiore attenzione verso i problemi dell’edilizia scolastica al Nuovo piano nazionale per la scuola digitale.

Dove il primo anno di riforma ha evidenziato limiti e velleità è soprattutto in quello che avrebbe dovuto essere il cuore del provvedimento: lotta al precariato e fine della supplentite, l’enorme numero di sostituti che le scuole e i provveditorati sono costretti a nominare ogni anno per far partire la macchina. Le statistiche parlano chiaro. Le supplenze sono calate appena di 13mila unità su 118mila, mentre le graduatorie provinciali dei precari – che servono a reclutare metà degli immessi in ruolo ogni anno – contano ancora 45mila iscritti. Va detto però che si partiva da quota 122mila e che a partire da settembre il numero dei supplenti reduci dal Piano da 103mila assunzioni previsto dalla riforma dovrebbe assottigliarsi ancora. Fino al completo svuotamento delle liste.

Passi falsi l’avvio della Buona Scuola sembra averli compiuti anche nella gestione dell’organico di potenziamento e perfino sull’assegnazione del tanto reclamizzato bonus, che in linea teorica avrebbe dovuto premiare i professori migliori. I docenti dell’organico di potenziamento – 48mila unità inviate nelle scuole a novembre del 2015 con l’intento di potenziare Musica e Educazione motoria alle elementari, le lingue straniere alla medie, Diritto ed Economia alle superiori – sono stati invece utilizzati spesso come tappabuchi. Quando non sono rimasti ad annoiarsi in biblioteca aspettando che qualcuno li chiamasse per una supplenza o per un altro incarico. E il prossimo anno non sembra possa andare meglio con i “potenziatori”, perché tra “assegnazioni provvisorie” e “utilizzazioni” i presidi potrebbero ritrovarsi ancora con docenti non scelti da loro. Così bisogna sperare che i miliardi già spesi per rimettere in sicurezza e abbellire le tante scuole sgarrupate disseminate in ogni angolo del Paese evitino almeno che i soffitti continuino a crollare sulla testa di scolari e maestri, studenti e professori. Ma basta una violenta scossa di terremoto per portare, al di là delle buone intenzioni, tutti con i piedi per terra.

Alternanza con il lavoro promossa con riserva

di SALVO INTRAVAIA

ROMA – Falsi progetti svolti senza in realtà mai uscire dalla propria classe, studenti “sfruttati” al posto della manodopera e costretti a recarsi in azienda anche durante le vacanze di Natale, alunni spediti a fare esperienza in ambiti professionali lontanissimi dalle loro inclinazioni, come i ragazzi di un Classico sardo finiti in una raffineria. Nel corso dell’anno passato le denunce contro le situazioni paradossali nate con l’obbligo di Alternanza scuola lavoro introdotto dalla Buona Scuola in tutte le superiori, licei compresi, non sono mancate. Eppure, anche se tutti sembrano d’accordo sul fatto che il meccanismo ha bisogno di una messa a punto, il primo anno di novità introdotta dal governo per avvicinare il mondo dell’istruzione a quello dei mestieri, sembra essere tutto sommato positivo, rappresentando una delle note liete della riforma.

I miglioramenti sono necessari anche perché a settembre il numero di ragazzi interessati aumenterà: saranno un milione e oltre, coinvolgendo i giovani del terzo e del quarto anno di tutti gli indirizzi, costringendo le scuole a raddoppiare gli sforzi in termini di contatti con enti e imprese e a moltiplicare i protocolli di intesa per avviare le attività. Nel 2017/2018 l’esperienza andrà poi a regime: si raggiungerà quota un milione e mezzo di studenti, quelli del secondo biennio e dell’ultimo anno della secondaria superiore. Per i liceali sono previste almeno 200 ore di esperienza sul campo – aziende, imprese, ma non solo – da realizzare nell’ultimo triennio di scuola. Nei tecnici e negli istituti professionali, dove la vocazione alle professioni è più marcata, le ore da passare in Alternanza diventano almeno 400.

Alternanza scuola lavoro, con l’obbligo aziende messe in difficoltà

Le critiche più dure arrivano però dall’Unione degli studenti. “La mancanza di uno statuto delle studentesse e degli studenti in Alternanza scuola-lavoro li espone a numerose contraddizioni”, spiega Francesca Picci, coordinatrice dell’Uds. Com’è avvenuto, aggiunge, in un istituto alberghiero di Torino, “dove gli studenti si sono ritrovati a prestare manodopera gratuita”. “Agli studenti è stato richiesto – aggiunge – di fare Alternanza anche durante le vacanze di Natale”. Secondo un monitoraggio realizzato dall’Unione, i problemi principali lo scorso anno sono stati “la scarsa attinenza di molte esperienze con il percorso di studi intrapreso” e i costi a carico degli stessi ragazzi. “Molti – spiegano gli studenti – devono pagare autonomamente servizi indispensabili, come i trasporti e in alcuni casi anche il soggiorno, considerato che molti progetti di alternanza si sono svolti anche a 200 chilometri di distanza dalla propria città, o addirittura in regioni diverse da quella di residenza”. “I dati che abbiamo raccolto – sottolinea Francesca Picci – dimostrano come l’Alternanza scuola lavoro immaginata dal governo non rispecchi le necessità e l’idea che gli studenti hanno della loro formazione, soprattutto pratica E’ necessario stanziare fondi per la mobilità studentesca, approvare uno statuto degli studenti in alternanza scuola lavoro che tuteli realmente i diritti degli studenti, individuare un codice etico per le aziende coinvolte, coinvolgere le rappresentanza studentesche e impedire che le esperienze si rivelino esperienze di mero sfruttamento”.

Perplessità e richieste di cambiamenti a cui Miur e Confindustria cotrappongono una serie di esempi virtuosi. Come il caso dell’istituto superiore Severi-Guerrisi di Gioia Tauro (tecnico con svariati indirizzi e anche liceo artistico) che ha iniziato ad attuare l’alternanza scuola-lavoro 3 anni fa, con un progetto sperimentale, coinvolgendo 250 aziende e circa 500 gli alunni, di cui alcuni sono stati anche assunti. Oppure il classico e linguistico Orazio di Roma dove sono stati avviati 20 percorsi, uno dei quali in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità. Quanto basta per far concludere alla ministra dell’Istruzione Stefania Giannini che “il bilancio è positivo”. “Soprattutto – precisa – se si considera la portata della rivoluzione culturale che abbiano fortemente voluto”.  E se è vero, ammette la ministra, che “l’Alternanza è partita con qualche difficoltà in più nei licei perché in questi indirizzi in passato l’alternanza era poco praticata, essendo volontaria”, è altrettanto vero che “con la Buona Scuola abbiamo rotto questo tabù, portando competenze pratiche anche in indirizzi storicamente improntati all’acquisizione di competenze teoriche”.  E in risposta agli studenti quindi aggiunge: “Questa è l’unica strada per consentire ai nostri ragazzi di scoprire i propri talenti, far emergere le loro inclinazioni e indirizzare il successivo percorso di studi”.

A difendere la novità ci sono anche gli industriali. “Oltre 700mila studenti in Alternanza in tutti gli indirizzi di scuola superiore sono un buon primo passo”, dice Giovanni Brugnoli, vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano. “L’obiettivo – aggiunge – è garantire a tutti il diritto di imparare lavorando, fare cioè un’esperienza formativa a tutto tondo che permetta di conoscere ciò che sta fuori dalle aule scolastiche. Ma vedremo quali saranno le criticità da affrontare”. Brugnoli annuncia quindi l’intenzione degli imprenditori di creare un rapporto più stretto con il mondo dell’istruzione. “Noi crediamo, e lo abbiamo sperimentato in tanti anni di partnership con le scuole, che i percorsi di alternanza debbano puntare sulla qualità. E qualità significa che l’impresa partecipa a tutte le fasi del percorso: anche alla progettazione e alla valutazione. Ci sarà vera alternanza quando anche gli studenti delle province più remote potranno accedere a percorsi di qualità”.

Il vicepresidente di Confindustria nega quindi che alcune aziende non siano interessate all’argomento. “I vantaggi dell’Alternanza – ribadisce – sono fuori discussione: gli imprenditori sanno bene che la partnership con le scuole dà una maggiore riconoscibilità all’impresa nel territorio e ne promuove anche la funzione formativa”. Ma non solo. “L’Alternanza nel medio-lungo periodo può anche ridurre il divario tra domanda delle imprese e offerta formativa”. Ma cosa cercano le imprese? “Tutti gli studenti sono i benvenuti in azienda. La cosa importante – ribadisce – è lavorare con le scuole per permettere agli studenti, sulla base delle loro caratteristiche, di inserirsi nel contesto che permetta di sviluppare al meglio le loro potenzialità”

Per lo stop alle supplenze bisognerà aspettare

di SALVO INTRAVAIA

ROMA – La piaga del precariato continuerà ad affliggere la scuola anche nell’imminente nuovo anno scolastico. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini l’ha definito un “metodo negativo che ha soffocato la scuola italiana” e il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha inserito la sua fine in cima a tutti gli obiettivi della Buona Scuola. Per questo il diktat è stato perentorio: bisogna assolutamente cancellare le graduatorie ad esaurimento dei precari (Gae) ed eliminare la cosiddetta supplentite, l’enorme numero di precari su cui ogni anno si basa il funzionamento della macchina scolastica italiana. Eppure un primo anno di applicazione non è servito a compiere grossi passi avanti e quello futuro non sembra poter promettere molto di più. Nella passata stagione scolastica, stando ai dati ufficiali diffusi dal ministero dell’Istruzione, la montagna di supplenze è stata appena scalfita, ma stando ad alcune interpretazioni dei numeri potrebbe persino essersi accresciuta. Una situazione che – questo sembrano indicare le prime notizie sulla preparazione delle classi e la distribuzione delle cattedre – con ogni probabilità si protrarrà anche quest’anno.

Più incoraggianti invece i numeri che a distanza di circa 12 mesi di applicazione della riforma il governo può esibire sulla lotta al precariato, anche se siamo ancora lontani dall’obiettivo annunciato nel settembre del 2014. Entro settembre 2015, spiegò allora il premier, occorrerà assumere 103mila precari delle liste ad esaurimento e bandire un nuovo concorso a cattedre. L’ambizione era quella di rilanciare le opportunità offerte dall’autonomia scolastica, mai attuata appieno per mancanza di risorse economiche e di personale. Un’occasione unica, insomma, resa poi ancor più ineludibile dallasentenza della Corte di giustizia europea che nel novembre del 2014 ha condannato l’Italia per abuso di precariato scolastico: troppi docenti nominati come supplenti su sede vacante per troppi anni consecutivi, spiegava il verdetto.

Dopo l’approvazione della riforma (9 luglio 2015), i nodi hanno iniziato però a venire al pettine: delle 103mila assunzioni, per l’anno 2015/2016, il Miur è riuscito a piazzarne soltanto 87mila e 600. Sembra incredibile, ma è proprio così. Il punto è che le assunzioni prevedono la possibilità, contrariamente al passato, per il cervellone ministeriale di spedire gli aspiranti maestri e professori a prendere servizio in una qualunque regione se in quella di residenze non c’è disponibilità di posti. E in parecchi si sono rifiutati di viaggiare su e giù per l’Italia.

Il risultato è che anche il ricorso alle supplenze è rimasto quasi invariato. Anzi, per la Cisl scuola sarebbe addirittura aumentato. Rispondendo ad un’interpellanza alla Camera, il 5 febbraio 2016, Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, ammetteva che le supplenze si sono contratte di appena 13mila unità scarse sulle oltre 118mila dell’anno precedente: uno stentato 11% in meno. In altre parole, anche dopo la cura Renzi/Giannini, la scuola italiana ha continuato (e continua) a soffrire di supplentite, con oltre 105mila precari chiamati in cattedra per garantire il regolare svolgimento delle lezioni. Conti contestati, come detto, dalla Cisl scuola secondo cui le supplenze avrebbero toccato quota 147.028: facendo segnare un clamoroso +24% sull’anno precedente (2014/15).

Ancor più allarmante è però la previsione che anche nel nuovo anno scolastico la cifra oscillerà tra quota 60 e 80mila. Domenico Pantaleo, alla guida della Flc Cgil, parla di un  flop sotto gli occhi di tutti. “Il piano delle immissioni in ruolo non ha cancellato il precariato e non ha ridotto la supplentite“, afferma. Una sentenza di fallimento che Francesca Puglisi, responsabile Scuola del Partito democratico, non accetta, rivendicando piuttosto il “più vasto piano straordinario di assunzioni mai realizzato dallo Stato negli ultimi 20 anni”, un’operazione che “ha assicurato in media 7 professori in più ad ogni scuola del Paese per combattere la dispersione degli studenti, migliorare gli apprendimenti e ampliare l’offerta formativa”. Matteo Renzi comunque non intende arrendersi e torna a promettere che la “supplentite finirà quando le riforme andranno a regime. Ci vorranno due o tre anni”. Traguardo possibile se si saprà trovare la strada giusta, così come avvenuto sul fronte della lotta al precariato intesa come riduzione del numero complessivo di iscritti nelle liste Gae, compresi quelli che non hanno mai svolto un giorno di supplenza. Dei 122mila registrati prima delle assunzioni di massa, in elenco ne sono rimasti 45mila: un terzo del totale, che il governo conta di mettere in regola nell’arco dei prossimi tre anni.

Chiamate dirette al via sotto la lente Anac

di SALVO INTRAVAIA

ROMA – Tra mille dubbi e innumerevoli perplessità, i presidi hanno affrontato la “prova del fuoco” della chiamata diretta: la vera novità dell’anno scolastico ormai alle porte. Un marchingegno su cui ha puntato l’attenzione, per la prima volta in assoluto nella scuola, anche l’Anac: l’autorità anticorruzione. Perché la discrezionalità di cui godono i capi d’istituto nell’assegnare gli incarichi ai neoimmessi in ruolo fa drizzare le antenne a chi è chiamato a vigilare sui potenziali comportamenti corruttivi. E per i dirigenti scolastici, il rischio di scivolare si presenta ad ogni passo. Ad ammetterlo, con grande onestà intellettuale, è Paolino Marotta dell’Andis, un’associazione che raccoglie circa mille dirigenti scolastici. “La paura di essere denunciati esiste – spiega – perché si tratta di una operazione del tutto nuova, da svolgere in tempi strettissimi e senza che ci siano state indicazioni precise da parte del ministero. Permangono profili giuridico-amministrativi non del tutto chiari”. “. La prima chiamata diretta si è svolta, non senza polemiche, ad agosto. Secondo quanto denunciato dai sindacati, alcuni presidi si sono presi la licenza di entrare nel merito delle scelte familiari di alcune insegnanti – intenzione di avere figli o di sposarsi – o avrebbero assunto i docenti in base al luogo di residenza: il più vicino alla scuola. Ma su eventuali distorsioni del sistema il ministero tace.

L’avvio degli Ambiti territoriali per l’organico di potenziamento con il reclutamento degli insegnanti da parte dei dirigenti scolastici rappresenta la vera novità del 2016/2017. Perché nel primo anno di Buona Scuola l’organico di potenziamento – circa 48mila unità – è stato inviato a metà novembre agli istituti direttamente dal ministero dell’Istruzione, congelando per un anno la “chiamata diretta”. Ma facciamo un po’ di ordine. Per consentire ai dirigenti scolastici di reclutare i docenti più adatti alla propria scuola – con esperienza di aree a rischio, abituati a lavorare contro la dispersione scolastica o con alunni Bes (con Bisogni educativi speciali), specializzati delle lingue straniere o nella didattica digitale, tanto per fare qualche esempio – la legge di riforma ha messo in piedi questo meccanismo: per prima cosa, gli assunti nel 2015/2016 e parte di coloro che chiedono trasferimento in un’altra regione sono stati assegnati ad uno dei 319 Ambiti territoriali in cui è stato suddiviso il territorio nazionale. A questo punto, entrano in gioco i presidi, che vagliando le candidature dei docenti e dopo avere consultato il loro curriculum, propongono ai prescelti un incarico triennale nella propria scuola.

Tutta l’operazione è partita il 29 luglio – per la scuola dell’infanzia e primaria – per concludersi il 26 agosto con la scuola secondaria di secondo grado, secondo tempi scaglionati per ordine di scuola. Per il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone “si passa dal reclutamento per anzianità di servizio a quello per competenze”. In questo modo, i dirigenti scolastici potranno assoldare i docenti più idonei a mettere in pratica gli obiettivi declinati nel Piano triennale dell’offerta formativa, uno degli obiettivi più importanti dell’intera riforma. Ma lo scorso anno le cose hanno preso tutt’altra direzione e il prossimo rischiano di ricalcare la stessa strada del precedente.

Ecco perché. I 47.465 docenti “potenziatori” nominati a metà novembre del 2015 sono stati inviati alle scuole direttamente dal cervellone ministeriale, senza che i presidi abbiano potuto “scegliere”. Nelle scuole si sono ritrovati ex supplenti “esperti” ma anche tanti che non mettevano piede a scuola da quando si erano diplomati. Un mezzo disastro, abbastanza annunciato. Tanto che dopo un mese l’ispettore ministeriale Max Bruschi si è lasciato andare ad uno sfogo sui social: “Molti docenti che hanno preso servizio – scriveva il 5 dicembre 2015 sul proprio profilo Facebook – si trovano a bivaccare nei corridoi. Lo trovo uno sconcio. Quasi nessuno ha avuto il doveroso confronto con il dirigente scolastico, curriculum alla mano. Poi, ci sono le fantastiche eccezioni. Ma, per l’appunto… non rappresentano, oggi, la regola. So per primo che nelle istituzioni scolastiche è arrivato personale di diversaquidditade. Ma, rilevo, capita tutti gli anni”.

Il rischio molto concreto è che questa situazione si replichi anche nel nuovo anno scolastico. Almeno per i primi mesi. Perché, dopo avere individuato i docenti dagli ambiti, scatteranno le assegnazioni provvisorie e le utilizzazioni (operazioni di mobilità del personale che prevedono l’assegnazione di una cattedra per un singolo anno), pratica che gli uffici provinciali dovranno svolgere entro il 15 settembre. Ma prima ancora occorrerà dare seguito alle 5/6mila richieste di conciliazione (ricorsi) sui trasferimenti avanzate dai docenti meridionali spediti al Nord dal bizzoso algoritmo ministeriale che nessuno sa come abbia funzionato. Uno stratagemma messo su dal ministero per consentire ad una percentuale più alta possibile del grande serbatoio di insegnanti meridionali di non allontanarsi troppo da casa ancora per un anno, posticipando la partenza al 2017/2018. O di non allontanarsi mai, se nel frattempo dovesse arrivare il trasferimento. Ma, a questo punto, dopo essere stati scelti dai presidi, migliaia di docenti potranno andare in un’altra regione ed essere sostituiti da docenti con altri requisiti. Un altro anno di potenziatori a zonzo per la scuola? Intanto, il suono della prima campanella si avvicina e la squadra dei docenti in moltissime scuole è tutt’altro che completa.

Lotta titanica ai crolli, ma il rischio rimane

di SALVO INTRAVAIA

ROMA – Quasi 6 miliardi per mettere in sicurezza, ristrutturare e perfino abbellire gli edifici scolastici italiani. Ma i soffitti continuano a crollare sulla testa di alunni e docenti. E in un caso a sbriciolarsi sotto l’effetto del terremoto nell’Italia centrale è una scuola resa “antisismica” bel 2012.  Sembra un paradosso. Ma quanto basta per fare sorgere a tutti una domanda: quanto è sicura la scuola di mio figlio? Nessuno probabilmente conosce la risposta. Una circostanza che, nonostante gli sforzi governativi, contribuisce ad aumentare l’angoscia dei genitori. Quello che sappiamo con certezza, perché a dircelo è lo stesso Miur, è che su 41.666 edifici sparsi in ogni angolo della Penisola, ben 18.817 ricadono in zone sismiche di prima e seconda categoria: quelle dov’è possibile che si verifichi un terremoto violento o potenzialmente distruttivo come quello che ha frantumato la scuola di Amatrice. Per il resto gli incidenti sono all’ordine del giorno. L’ultimo incidente in ordine di tempo in piene ferie, alla materna Maria Montessori di Dragoni, una frazione di Lequile, in provincia di Lecce, lo scorso 23 giugno. Quando, per fortuna, in classe non c’era più nessuno. Ma lo sforzo profuso dal governo per rendere sicure 42.292 strutture scolastiche, frequentate ogni giorno da quasi 8 milioni di alunni e da oltre un milione tra docenti e personale scolastico, è stato enorme: quasi sei miliardi di euro impegnati, stanziati e in parte anche spesi, per intervenire sulle scuolesgarrupate tra il 2014 e il 2017.

Nel febbraio 2014, il presidente del Consiglio Matteo Renzi annunciò di voler prendere un impegno con gli italiani: si sarebbe occupato dell’edilizia scolastica. Il primo passo fu la creazione della Struttura di missione per l’edilizia scolastica presso la Presidenza del consiglio. Allo scopo rastrellò tutti i fondi già stanziati ma mai spesi: quasi 3 miliardi. Nel corso del triennio 2014/2016 i miliardi destinati alle scuole sono saliti a 4,2 destinati a una lunghissima serie di interventi dai nomi a volte anche creativi: #scuolebelle, #sbloccascuole e #scuole sicure, con l’immancabile hashtag iniziale. Anche semplici tinteggiature per rendere più accoglienti classi, laboratori, corridoi e bagni. E nella Legge di stabilità per il 2017 è previsto un altro miliardo e 700 milioni di interventi: in tutto, 5,9 miliardi. Quasi metà dei 14 ipotizzati dall’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso all’indomani del crollo che nel 2008 costò la vita a Vito Scafidi, colpito a morte da un tubo dimenticato nel controsoffitto della sua aula al liceo Darwin di Rivoli (To).

Il timore ora è che da settembre possa riprendere il triste bilancio di intonaci che si schiantano, quando va bene, sul pavimento senza nessun preavviso; finestre che si sganciano dai cardini e finiscono in testa agli alunni; cornicioni pericolanti. Per Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale per il settore Scuola di Cittadinanzattiva, “certo non è possibile pretendere il miracolo”. E prevede che “il prossimo anno i crolli dovrebbero diminuire”. Ma spiega: “In effetti, gli interventi di messa in sicurezza – dice – sono una minima parte, per questo continuano gli incidenti”. Anche a fronte di un intervento straordinario come quello del governo in carica, che in tre anni – 2014/2016 – ha aperto 4.833 cantieri, di cui 3.884 conclusi: oltre l’80 per cento.

Lo sforzo in termini quantitativi non è però sufficiente. “I finanziamenti di #scuolebelle, 450 milioni, non hanno senso: la piccola manutenzione deve rimanere a carico delle scuole. Perché non potenziare gli interventi diagnostici sui solai che sono punti critici delle scuole?”, si chiede ancora Bizzarri. “Finora – aggiunge – a fronte di 14mila interventi richiesti dagli enti locali nel 2015 ne sono stati finanziati 7mila, per una spesa di 40 milioni di euro”. E l’obiettivo appare lontano. “Continuando con questo impegno, occorreranno almeno altri dieci anni”, chiosa Bizzarri.

Laura Galimberti, a capo della Struttura di missione, replica: “La maggior parte delle scuole italiane è stata realizzata prima del 1976. Le tecniche costruttive e i materiali, soprattutto quelli utilizzati tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70, sono oggi inadeguati. Ricordiamo, poi, che i solai delle scuole sono sottoposti a carichi d’esercizio irregolari e subiscono sbalzi termici notevoli”. Per questo “il governo ha inserito nella Legge 107 una linea di finanziamento dedicata proprio alle indagini diagnostiche per i solai”. Tuttavia, degli oltre 7mila interventi finanziati, quelli conclusi sono poco più di mille e 400. Vale davvero la pena investire 6 miliardi su scuole così vecchie? “È impensabile sostituire tutti gli edifici esistenti in pochi anni – spiega la Galimberti – anche se c’è sicuramente la necessità di realizzare scuole che rispondano alle nuove esigenze architettoniche, energetiche, pedagogiche e sociali. Il concorso #scuoleinnovative, promosso dal Miur e finanziato con fondi Inail, ha proprio questo obiettivo”, conclude.

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La buona scuola ripete l’anno ultima modifica: 2016-09-06T05:18:19+02:00 da
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