La Scuola che verrà. Il manifesto dei docenti: “Al centro conoscenza e sapere e zero burocrazia”

di Ilaria Venturi, la Repubblica, 10.6.2021.

Gilda Venezia

Restituire centralità all’ora di lezione, ridare priorità a una scuola incentrata sulla conoscenza e sulla trasmissione del sapere e a una scuola liberata da mille adempimenti burocratici che fanno perdere di vista la relazione con gli studenti. Sono alcuni dei contenuti del Manifesto per la nuova Scuola promosso da un gruppo di insegnanti riuniti nella community “La nostra scuola”. Gira da un po’ sottotraccia, raccoglie firme, quasi diecimila nel web, alcune autorevoli. Tra queste, gli storici Chiara Frugoni, Adriano Prosperi, Alessandro Barbero e Carlo Ginzburg, il vignettista Mauro Biani, il filologo Luciano Canfora, il teologo Vito Mancuso, Dacia Maraini, Tomaso Montanari, Massimo Recalcati, Salvatore Settis e Gustavo Zagrebelsky.

L’obiettivo dei docenti che lo hanno scritto è portare la loro riflessione al presidente Mattarella. La pandemia ha fatto esplodere i guai di cui la scuola soffriva da decenni. E ha accelerato anche la reazione di quello stesso mondo. Mai come ora fioriscono manifesti, petizioni, documenti, reti di insegnanti e maestri che si trovano in chat per confrontarsi. Obiettivo? Ripartire a settembre con la consapevolezza che dopo due anni funestati dal covid e dunque di Dad e presenza in aula a intermittenza, nulla potrà tornare come prima. È l’occasione per fare una scuola nuova, migliore se possibile. I fondi del Recovery sono all’orizzonte, non si sono scuse.

Ieri il ministro Patrizio Bianchi a Repubblica ha invitato ad aprire un cantiere per la scuola del futuro. Le idee non mancano. Il Manifesto, dunque. Luca Malgioglio è uno dei docenti che l’ha scritto, insegna da 20 anni italiano e storia, prima alle medie ora alle superiori, al liceo e tecnico Di Vittorio-Lattanzio di Roma. Il gruppo è formato soprattutto da insegnanti romani, ma Nord e Sud sono ben rappresentati così come tutti gli ordini di scuola. “Chiediamo che non prevalgano le competenze e la burocrazia, ma si ritorni a un scuola capace di mettere al centro il sapere e la relazione coi ragazzi”. Loro si sono trovati in chat a ottobre scorso, insegnanti preoccupati e scoraggiati più che arrabbiati. Hanno fatto incontri anche con uno psicoanalista su come relazionarsi con i bambini e gli adolescenti. “Per noi la relazione è il centro della relazione scolastica, più precisamente la relazione tramite dei contenuti culturali. Ma dall’autonomia in poi più si parla dell’importanza della relazione più la seppellisce sotto una colata di burocrazia in un delirio certificatorio sempre più cavilloso e astratto nel quale i ragazzini in carne ed ossa non si vedono più”.

Sono docenti che contestano i progetti non indispensabili a scapito della lezione, la tecnologia come fine e non come mezzo, i protocolli e i documenti programmatici come il Ptof (piano triennale dell’offerta formativa) e la Rav (rapporto di auto-valutazione). Professori no-Invalsi (“non valuta il percorso degli studenti e spingono a insegnare loro non perché imparino, ma come rispondere a un test”). Chiedono di eliminare i percorsi di “alternanza scuola-lavoro” (ora Pcto), “da sostituire semmai con stage sensati e non obbligatori, fuori dall’orario scolastico e su decisione dei consigli di classe”. E fanno della conoscenza una battaglia.

“L’idea che la scuola possa essere incentrata sulla semplice acquisizione di “competenze” è profondamente sbagliata – si legge – sia perché applica a un ambito, quello scolastico, categorie nate in ambiti aziendali e della produttività lavorativa, sia perché esclude la dimensione integralmente umana, centrale nella scuola e nei processi lunghi” Luca Malgioglio precisa: “Non significa che siamo contrari alle competenze, al saper fare, ma questo non deve prevalere”. Un esempio? “Insegno l’importanza della lettura agli alunni delle medie leggendo con loro, poi svilupperanno le competenze di lettura. Non parto dalle tecniche di lettura per accendere una passione per i libri”. Sulla burocrazia il docente entra nel merito: “L’educazione civica introdotta in ogni materia ha significato che tutti abbiamo dovuto sacrificare ore per fare verifiche e mettere un voto. Non c’era bisogno di questo approccio, già facendo italiano e storia insegnavo educazione civica. Oppure abbiamo dovuto dare un voto per quello che i ragazzi non hanno recuperato lo scorso anno, nel primo e secondo quadrimestre come se un ragazzo fosse scomponibile in tutti questi voti. Il mio 6 dato se vedo progressi in quel ragazzo non conta più, non ci si fida più? Una certificazione inutile”.

Tra le richieste di questo Manifesto la revisione dell’impianto dell’autonomia scolastica e meno alunni per classe. Inoltre, una formazione e reclutamento degli insegnanti che “devono avere al centro la preparazione culturale, la conoscenza approfondita dei contenuti disciplinari, la motivazione e la propensione all’insegnamento e alla relazione con le persone in crescita”. Con un’accusa: il mancato coinvolgimento degli insegnanti nelle riforme.

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