di Avv. Marco Barone, Orizzonte Scuola, 1.9.2015
Chi è di ruolo, ovvero assunto con contratto a tempo indeterminato, ha un conservazione del posto di lavoro, in caso di malattia, per un periodo pari a mesi 18 nel triennio, superati questi canonici 18 mesi può sì essere richiesto un periodo ulteriore di 18 mesi, ma non vi sarà alcuna spettanza retributiva, si interrompe l’anzianità di servizio, ma sono utili per la conservazione del posto di lavoro.
Come ha avuto modo di evidenziare l’ARAN il dipendente, in stato di malattia, può rientrare in servizio anche prima della scadenza del periodo di assenza per malattia previsto dal relativo certificato medico. In ogni caso, sembra opportuno che l’amministrazione, al fine di evitare ogni eventuale responsabilità al riguardo, richieda al lavoratore una specifica certificazione medica dalla quale risulti la piena idoneità psico-fisica allo svolgimento delle mansioni proprie del profilo di appartenenza dello stesso.
Ciò in considerazione del fatto che, ai sensi delle disposizioni dell’art. 2110 e dell’art. 2087 del codice civile, del TUSL (Testo Unico Sicurezza Lavoro – d.lgs. n. 81 del 2008) e dell’art. 38 della Costituzione, risulta necessario che il datore di lavoro adotti tutte le misure volte a tutelare l’integrità fisica non solo del dipendente che intende rientrare in servizio, ma anche degli altri lavoratori (ad esempio, nel caso il cui l’assenza sia dovuta a malattie infettive).
Così come, pur il CCNL non fornendo precisazioni al riguardo, in base all’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, in mancanza di una diversa previsione contrattuale, nel calcolo del periodo di assenza per malattia devono essere computati anche i giorni festivi che ricadano nello stesso. (Cass. 1.6.1992 n. 6599; Cass. 4.3.1991 n. 2227; Cass. 26.2.1990 n. 1459; Cass. 22.2.1990 n. 1337).
E’ il caso di precisare che, qualora l’orario di lavoro sia articolato su cinque giorni e l’ultimo giorno di assenza, in base al certificato medico, coincida con la giornata di venerdì, non dovranno essere calcolati il sabato e la domenica successivi. Orientamenti che si estendono anche al personale non di ruolo, ovvero a tempo determinato.Il quale, pensando a quello che ha un contratto sino al 31 agosto, oramai, illegittimamente rari, o fine al termine delle attività didattiche, la conservazione del posto di lavoro sussiste per un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico.
Pur, essendo nella quasi totalità del precariato, sussistente una vera e propria continuazione del rapporto lavorativo, interrotto solo da periodo estivo, per una questione di risparmio di spesa. Per questa tipologia di personale precario il periodo è retribuito:nel 1°mese al 100%, 2° e 3° 50%,dal 4°al 9° mese si ha diritto alla conservazione del posto ma senza assegni.
Condizione ulteriormente peggiorativa per coloro che maturano supplenze, ad esempio, per i posti che si sono resi disponibili oltre il 31 dicembre ecc. Il personale di ruolo, oltre ad avere una conservazione del posto di lavoro certamente migliorativa, rispetto al personale precario pur prestando, questo, con riferimento a chi svolge supplenze fino al 31 agosto o 30 giugno, una reale continuità della prestazione di lavoro presso la scuola, vede la sua retribuzione essere al 100% per i primi nove
mesi, per poi diminuire al 90% fino al 12° mese, al 50% dal 13° al 18° mese.
La Corte Costituzionale, sin dalla sua esistenza ha iniziato ad occuparsi di precariato, malattia della civiltà giuridica che determina anche una condizione di estrema insicurezza sociale. Per esempio, nel febbraio del 1972, con la Sentenza n° 39, affermava che “nessuna valida e razionale giustificazione riesce a scorgere la Corte nell’adozione da parte del legislatore del diverso trattamento normativo dell’assenza per malattia a seconda che trattasi di personale di ruolo o non di ruolo. La possibilità di un differente trattamento sussiste solo quando la disparità trovi fondamento su presupposti logici obbiettivi e nel caso di specie ci si trova invece di fronte a situazioni ed esigenze del tutto identiche: infermità che colpisce un pubblico dipendente impedendogli temporaneamente di prestare servizio e conseguente diritto ad assentarsi dall’ufficio per le necessarie cure. La differenza di status – di ruolo o non di ruolo – dell’impiegato è del tutto irrilevante agli effetti del riconoscimento del diritto all’assenza per cura posto dalla legge a tutela del medesimo bene: la salute individuale”.
Un principio per nulla superato, anzi, il fatto che la nostra giurisprudenza, o meglio parte di essa abbia fatto scuola in Europa, è evidente, ed il principale frutto è dato certamente dalla nota Sentenza della Corte di Giustizia Europea in materia di precariato, usata, poi, in via strumentale, per partorire la Legge del 13 luglio 2015.
La Sentenza citata della Corte, riguardava, un caso specifico, ovvero con provvedimento del 5 aprile 1968 il preside della scuola statale di Leverano disponeva il licenziamento di una applicata di segreteria precaria, la quale, assunta in servizio come applicata di segreteria non di ruolo il 14 marzo 1968, si era assentata dall’ufficio, per ragioni di malattia, undici giorni dopo l’assunzione e precisamente il 26 marzo successivo. Il licenziamento veniva disposto con riferimento all’art. 2 del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207 che disciplina il congedo ordinario del personale civile non di ruolo dello Stato, con la motivazione peraltro che non ricorrevano le condizioni volute per la concessione del congedo per malattia. Il provvedimento veniva successivamente confermato dal provveditore agli studi di Lecce sul rilievo che non ricorrevano le condizioni per la prosecuzione del rapporto di impiego giacché l’art. 3 del citato decreto dispone che “nei casi di assenza dal servizio per malattia accertata dall’Amministrazione, al personale non di ruolo è mantenuto il rapporto di impiego per un periodo di tre mesi se abbia almeno un anno di servizio”. Avverso la decisione del provveditore agli studi la proponeva ricorso dinanzi alla VI sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato che, con propria ordinanza del 27 maggio 1969 – pervenuta alla Corte soltanto in data 10 aprile 1970 -, sollevava di ufficio la questione di legittimità costituzionale della disposizione contenuta nell’art. 3, comma primo, in relazione all’art. 2 del D.L.C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Si impugnava la norma citata ove subordinava il diritto al mantenimento del rapporto d’impiego al decorso di almeno un anno di servizio, e la Corte rilevava che ciò è palesemente in contrasto col principio di uguaglianza enunciato dall’art. 3 della Costituzione e va conseguentemente dichiarata costituzionalmente illegittima.
Ora, seguendo i principi di questa importante Sentenza, sussistono validi e razionali giustificazioni nell’adozione da parte del legislatore del diverso trattamento normativo dell’assenza per malattia a seconda che trattasi di personale di ruolo o non di ruolo? Così come oggi sussistenti?
Devono i parametri essere rivisti in maniera più equa, rilevato che la maggior parte del personale precario che ha contratti sino al 30 giugno o 31 agosto, salvo il periodo “estivo” continua a prestare con continuazione il proprio rapporto di lavoro con la scuola?
Personale che in centinaia di casi si è visto riconoscere anche la progressione di carriera?
Malattia. Tra precari e docenti di ruolo diverso trattamento ultima modifica: 2015-09-01T07:14:46+02:00 da