LA DISCUSSIONE IN COMMISSIONE CULTURA ALLA CAMERA
Il video integrale del discorso del premier a Palazzo Chigi
Finisce male l’incontro con gli studenti: «Una presa in giro»
Renzi ci riprova: ancora una volta ci mette la faccia, il look delle buone occasioni e il tono deciso, e difende personalmente la Buona scuola, con un video pubblicato sil sito del governo nel pomeriggio di mercoledì, ad una settimana esatta dal voto finale sul disegno di legge, fissato per il 20 maggio. E con una lettera indirizzata ai professori e alle professoresse italiani. «Sono proprio contento del fatto che finalmente la scuola è al centro della discussione. Non apprezzo i toni, le polemiche ed i boicottaggi di chi non vuole far partecipare i ragazzi agli Invalsi ma bene che la scuola sia al centro».
La crescita? Solo attraverso la scuola
Partendo dai primi dati positivi sul Pil, arrivati proprio oggi dall’Istat, Renzi sottolinea nel suo video: «Non servirà a niente tornare a crescita nelle statistiche se non torniamo a crescere nelle scuole. L’Italia non sarà mai la superpotenza demografica, geografica, diplomatica. Può essere una superpotenza culturale», dice il presidente del Consiglio. Lo strumento perché accada? La sua «riforma», che spiega in cinque punti, con tanto di lavagna e gessetto, a tutti gli italiani. E che poi rispiega in una mail indirizzata a tutti i docenti: «Non pensiamo di avere la verità in tasca e questa proposta non è prendere o lasciare. Siamo pronti a confrontarci. La Buona Scuola non la inventa il Governo: la buona scuola c’è già. Siete voi. O meglio: siete molti tra voi, non tutti voi».
Cinque minuti, ma sono 17
Il premier chiede «5 minuti di attenzione», ma in realtà il suo video dura ben 17 minuti e 39 secondi, in cui Renzi si dice contento che la scuola sia finalmente «al centro delle discussioni di tutti» ma è evidentemente rammaricato da «polemiche, boicottaggi», e dei «messaggi del governo di comunicazione» sull’argomento, che evidentemente sono stati «sbagliati». La premessa? Che la Buona scuola esiste già: è «la professoressa che nonostante il controsoffitto o le difficoltà della banda larga insegna ai ragazzi ad allargare il cuore con una poesia, o l’insegnante di musica che fa l’orchestra in una scuola di periferia, o la professionalità di chi riesce anche in laboratori scalcinati a far capire ai ragazzi il senso e il gusto della ricerca», cita Renzi cedendo al romanticismo. Ma la riforma – anzi no, non chiamiamola riforma, sottolinea il premier – serve a delineare alcuni punti «specifici, concreti».
I nodi della riforma (in punta di gesso)
Ed è qui che Renzi parte con il gessetto. «La cosa più urgente è l’alternanza scuola-lavoro: la chiamiamo così anche se è una parola abusata», sottolinea scrivendo sulla sua lavagna. Secondo il premier è un’urgenza perché abbiamo avuto un crollo totale degli occupati: «Siamo un Paese in cui i ragazzi che non trovano lavoro sono il 40%: l’alternanza scuola lavoro funziona in Germania, in Svizzera, in Alto Adige. L’obiettivo? Ridurre quel 40%». Il secondo punto è dedicato alla «cultura umanista». «Nella Buona scuola chiediamo di studiare di più alcune materie, come la storia dell’arte o le lingue o la musica. Chiediamo- spiega Renzi – alla scuola italiana di realizzare un investimento non solo sugli skills professionali ma anche sull’esigenza più grande di un istituto scolastico, che è quella di formare un cittadino». E a questo proposito, Renzi cita l’incontro con Fabiola Giannotti, una delle più grandi scienziate al mondo, che ricorda ancora con entusiasmo la sua esperienza al liceo.
«Il merito? Non è una parolaccia»
Il terzo punto è quello legato agli insegnanti: «Più soldi agli insegnanti». Oggi gli insegnanti hanno perso l’autorevolezza sociale che avevano, come la sua maestra Eda, «rispettata da tutti come il farmacista, il maresciallo, il parroco perché era una figura con prestigio sociale»: Renzi ha fatto di questo uno dei fulcri della sua riforma fin dall’inizio, da quando l’ha presentata (sempre con un video) a settembre dell’anno scorso. Da allora sono passati molti mesi, diverse polemiche, e tantissimi tentativi di modificare il testo iniziale per adeguarlo alle richieste del multiforme popolo della scuola. «La prima responsabilità» di questa mancanza di prestigio sociale «ce l’abbiamo noi, genitori delle nuove generazioni», ammette Renzi, che però ci tiene a sottolineare che la mancanza di riconoscimenti ha contribuito: «I 500 euro che vengono dati ai prof per i rimborsi culturali e i 200 milioni per la valutazione» vanno in questa direzione. Ed ecco, la valutazione, la proposta che ha fatto arrabbiare tanti: «Il merito nella scuola non è una parolaccia – ricorda Renzi – e ci sono tanti professori che fanno bene il proprio lavoro e che sono arrabbiati con i loro colleghi che non lo fanno altrettanto bene». Renzi sa che si tratta di un argomento «delicato» e ammette che ci possano essere opinioni diverse: «si può discutere» di come siano usati questi 200 milioni, apre Renzi, ricordando che il nucleo di valutazione, che ha sostituito lo strapotere dei presidi nel decidere i destini degli insegnanti, dovrebbe conciliare le diverse esigenze. Ma sul merito no, non si torna indietro: «No al nessuno mi può giudicare».
«Nessun preside sceriffo»
Il quarto punto è l’autonomia: anche questa una parola «abusata», che già ricorreva nella riforma Berlinguer, e che sostanzialmente significa che «una scuola del centro di Milano sarà diversa da una di Scampia». Significa in pratica «chiedere alle scuole di aprirsi alle realtà culturali del territorio», non «svendere ai privati». Il Consiglio d’istituto continua a dare la linea della scuola, e non trasforma i presidi in sceriffi, sottolinea Renzi. Ma il dirigente scolastico inevitabilmente «ha delle responsabilità in più, ma non farà lo sceriffo, sarà il responsabile di una comunità, ma insieme al collegio dei docenti, dei genitori, degli studenti». Obiettivo? Che ciascuno degli allievi «abbia la possibilità di giocarsi le proprie carte».
Le assunzioni anti-burocrazia
L’ultimo punto citato da Renzi nella sua «lezione» è la «continuità»: ovvero l’assunzione di più di 100 mila persone che avevano acquisito il diritto di essere assunte. «I precari sono di più» ammette il premier, che combatte da mesi con i precari di seconda e terza fascia e con gli idonei del concorsone: ma assumendo più persone ogni scuola avrà un organico funzionale – ne è sicuro – a cui potrà attingere senza dover ogni volta che ha un’esigenza incappare in pratiche burocratiche.
«Discutiamone, ma no a slogan ideologici»
Da bravo prof, Renzi alla fine riepiloga i suoi cinque punti, come per farli memorizzare. Ma sottolinea anche gli argomenti di cui non si parla, nel testo della Buona scuola: «Non si parla di vacanze, non ci sono presidi Rambo, non è vero che il preside assume l’amico dell’amico, non è vero che può licenziare dopo i 36 mesi». Mentre per la prima volta si parla di regolare gli asili nido e le scuole materne, di diritto allo studio («affinché siano messi tutti nella stessa posizione di partenza»), di scuola digitale («che non è semplicemente le lavagne interattive ma la banda larga, la capacità di pensare multitasking»), e infine di oltre 4 miliardi di euro sull’edilizia scolastica. «Possiamo discutere serenamente di questa riforma della scuola senza ricorrere agli slogan ideologici?», conclude Renzi. «Non mi accontento del Pil che fa più 0,3, io voglio che l’Italia torni a dare alla scuola il ruolo che merita, cioè la centralità nel futuro».