di Viola Giannoli, la Repubblica, 24.11.2022.
Tutte le sue (inquietanti) uscite.
Il valore dell’umiliazione
L’ultima uscita, chiarita dopo qualche ora, è un inno all’umiliazione e riprende un cavallo di battaglia lanciato già qualche giorno fa: i lavori socialmente utili per i bulli, i violenti, gli occupanti delle scuole. All’incontro Italia-Direzione Nord a Milano, il ministro aveva detto: “Soltanto lavorando per la collettività, umiliandosi anche – evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita della personalità – di fronte ai suoi compagni, ci si prende la responsabilità dei propri atti. Da lì nasce il riscatto”. Poi è arrivato il chiarimento: “Ho usato un termine sicuramente inadeguato, confermo il messaggio: imparare l’umiltà di chiedere scusa”. E poi ha aggiunto: “Nel video del convegno di Direzione Nord a Milano ho utilizzato un termine che non spiega affatto il senso del mio ragionamento. Stavo intervenendo su un episodio oggettivamente intollerabile, quello di uno studente che ha preso a pugni una professoressa. Ho affermato che sospendere per un anno quel ragazzo non ha molto senso, molto meglio responsabilizzarlo facendogli svolgere lavori socialmente utili alla comunità scolastica”.
I lavori socialmente utili
Quando Valditara aveva proposto per la prima volta i lavori socialmente utili come “soluzione per contrastare gli episodi di violenza in classe per gli studenti sospesi un anno”, i presidi lo avevano bacchettato: “La sospensione di un anno non esiste”. Molti docenti, favorevoli, gli avevano però ricordato che “scopriva l’acqua calda” perché in alcuni istituti si affidano già piccole riparazioni o servizi mensa a chi compie atti di bullismo. “Colossali stupidaggini” per Anna Ascani (Pd): “La scuola non è un tribunale e non deve comminare agli studenti ‘pene alternative'”. Valditara bollò la polemica come “retrò”: “Non ci vedo nulla di male o di autoritario”. E infatti la proposta è sempre lì, anzi sta andando avanti.
I cellulari in classe
Come non nuova è l’idea di eliminare i cellulari dalle classidurante le lezioni quando i ragazzi invece di seguire navigano, chattano, stanno sui social, rispondono addiruttura alle chiamate. Un istituto su quattro è già iPhone free. Ma anche su questo la scuola si è divisa tra i pasdaran del divieto che lo hanno esteso anche ai prof, convinti che i telefoni distraggano dalle materie e alienino dalle relazioni scolastiche, e chi pensa che invece il proibizionismo non paghi e sia meglio educare a un uso corretto.
Niente scuola niente Reddito
Ad alzare lo scontro con le opposizioni e i sindacati ci ha pensato invece la proposta di togliere il Reddito di cittadinanza a chi ha tra 18 e 29 anni ma “ha interrotto illegalmente gli studi prima dei 16 anni o ha un diploma ma non lavora e non è in formazione”. O si colma il gap o via il sussidio, insomma per i 360mila circa che non sono mai stati in una classe, si sono fermati alla licenza elementare o media o sono Neet. Una “fatwa” contro chi non ha studiato, perché “la miseria o l’indigenza non sono scelte di vita ma condizioni delle società senza giustizia sociale”, secondo il senatore dem Francesco Boccia.
M come Merito
Ma in principio ci fu il Merito. Il 21 ottobre si scoprì che il governo di centrodestra aveva cambiato di nuovo nome al ministero dell’Istruzione aggiungendo una “M” di Merito. “Un’ossessione della destra”, secondo l’Usb, “il contrario di una scuola pubblica e democratica che deve accogliere e includere, non selezionare” per la Rete degli studenti e l’Unione degli studenti, “uno schiaffo a chi parte in svantaggio”, secondo il segretario Cgil Maurizio Landini. Dal dicastero non arrivarono chiarimenti, dopo giorni il ministro spiegò che a essere classista non era il merito ma la scuola, a causa della dispersione e del divario tra territori. “Il nostro concetto di merito – disse – vuol dire dare un’opportunità a chiunque come dice l’articolo 34 della Costituzione. Se questo preoccupa allora ad essere preoccupato sono io”.
L’impero romano e gli immigrati
Nel frattempo dagli archivi usciva fuori un volumetto firmato Valditara e distribuito nel 2016 con Il Giornale dal titolo: “L’impero romano distrutto dagli immigrati”. Sottotitolo “Così i flussi migratori hanno fatto collassare lo stato più imponente dell’antichità”. Anticipato da: “L’immigrazione nell’antica Roma: una questione attuale”. E seguito da: “Sovranismo: una speranza per la democrazia”. “La storia piegata a fini propagandistici” insorsero social, insegnanti, scrittori. Il ministro provò a chiuderla così: “È l’editore che sceglie il titolo per rendere il lavoro più accattivante”.
Lo spettro del comunismo
Tutta sua invece la lettera contro il comunismo arrivata a studenti e studentesse il 9 novembre, anniversario della cadura del Muro di Berlino. “Il ministro ha rimosso il fatto che il 9 novembre è la giornata mondiale contro il fascismo e l’antisemitismo proclamata dalle Nazioni Unite”, ricordò l’Anpi. “È il ministero della propaganda”, attaccò il Pd. “Da Minculpop”, rincarò la Flc Cgil. Dopo poche ore arrivò il contrattacco allusivo di Valditara: “C’è chi è amico di Israele e chi di Hamas, io di Israele” e “non accetto lezioni sull’antifascismo, mio padre era nella Brigata Garibaldi”. Poco più che ragazzo, le schede di riconoscimento dei partigiani attestano la presenza di Luigi Valditara dal 25 aprile al 7 giugno del ’45.
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Valditara: “Evviva l’umiliazione”, poi il ministro fa marcia indietro. ultima modifica: 2022-11-25T04:33:06+01:00 da