Esperto de che?

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Astolfo sulla luna, 29.8.2022.

Il confronto con i modelli organizzativi di altri paesi denuncia la situazione di povertà ideale e approssimazione progettuale in cui versa da decenni l’organizzazione scolastica italiana.

Gilda Venezia

Il decreto aiuti bis, come è noto, introduce la figura dell’insegnante “esperto”. Potrebbe sembrare agli “addetti ai lavori” una manovra diversiva per distogliere l’attenzione di una parte della pubblica opinione dall’inutile campagna elettorale balneare a cui stiamo assistendo, tutta concentrata su effimere alleanze e teatrali tradimenti, con zero attenzione ai cambiamenti epocali che ci travolgono e pochissime prese di posizione riguardo ai problemi concreti che ci affliggono.

Intanto la raccolta di firme lanciata dal gruppo “professione insegnante” ha raggiunto ad oggi quasi 70.000 adesioni: molto in rapporto alle altre raccolte di firme online, tutto sommato 1 docente su 10 in servizio.

Che sia un segnale di riscossa della scuola? Potrebbe esserlo, visto che – come spesso succede in questo settore della società italiana – le “riforme” vengono fatte d’estate, approfittando del fatto che le attività scolastiche sono sospese e la gente è in gran parte in ferie.

La memoria corre al concorsone dell’allora ministro Berlinguer che, se non ricordo male fatti di oltre 20 anni fa, doveva selezionare fino al 20% degli insegnanti con almeno 10 anni di anzianità. Staremo a vedere se una ipotesi di “carriera” molto più selettiva di quella appena ricordata, produrrà una mobilitazione almeno uguale a quella che mise in soffitta il ministro e il governo a cui apparteneva, aprendo fatalmente la strada al lungo quinquennio della berlusconiana Moratti.

Ma lasciamo stare la politica, di cui peraltro è intrinsecamente parte la scuola, in quanto espressione di un determinato modello educativo.

E cerchiamo di motivare un’eventuale protesta contro la novità voluta da Bianchi guardando anche i modelli organizzativi di alcuni paesi con cui abbiamo una certa affinità culturale, escludendo quindi il mondo anglosassone dal quale abbiamo spesso importato prassi didattiche ed organizzative in modo decisamente acritico: descrivo in breve il modello dei tre grandi paesi dell’Europa continentale.

Partiamo dal modello di scuola spagnolo, oggetto di studio da parte della Gilda degli Insegnanti fin dagli anni ‘90: la figura storica del preside elettivo è stata oggetto di riforme in cui tendeva a prevalere la nomina politica da parte delle regioni autonome, ma dal 2005 gli insegnanti sono tornati ad avere voce in proposito. Nonostante anche in questo paese la progressione di carriera sia quasi inesistente, gli insegnanti spagnoli, partendo dalle più basse paghe iniziali, godono poi di una forbice stipendiale più marcata che da noi.

La Germania è famosa per il suo sistema duale, nel quale a partire dall’età di 10/11 anni un bambino viene orientato verso l’equivalente dell’istruzione professionale, tecnica o liceale e dove gli insegnanti hanno un ruolo decisivo nella scelta. Corrispondentemente ad inizio carriera essi guadagnano circa il doppio degli insegnanti italiani, però l’incremento salariale non è molto pronunciato dato che a fine carriera l’aumento in media non supera il 30%, anche se esistono i livelli del “docente senior” e del “direttore degli studi”.

In Francia infine, dove prevale il modello del licée unificato fino ai 18 anni, la carriera degli insegnanti è ben strutturata, suddivisa com’è in “corpi”: nel caso dei licei, abbiamo gli insegnanti qualificati, che sono articolati in “classe base” e “fuori classe”. Conseguentemente lo stipendio, partendo da un livello piuttosto basso, può crescere anche del 70%  a fine carriera.

La breve carrellata, senza alcuna pretesa di completezza e precisione, è sufficiente per evidenziare la situazione di povertà ideale e approssimazione progettuale in cui versa da decenni l’organizzazione scolastica italiana. Ricordiamo solo i provvedimenti punitivi del ministro Brunetta nei confronti degli insegnanti in quanto impiegati statali e l’ulteriore concentrazione dei poteri nelle mani dei dirigenti scolastici dovuta a Renzi: se nelle precedenti riforme targate Moratti, Fioroni e perfino Gelmini era possibile trovare una qualche ipotesi razionale di riforma dello status degli insegnanti (rimaste per fortuna allo stadio di ipotesi), l’avvento della “buona scuola” ha segnato invece l’inizio del caos e dell’arbitrio organizzativo negli 8000 istituti scolastici italiani. A proposito, non è che fra 8 anni l’insegnante esperto dovrà occuparsi proprio di questo?

29 agosto 2022                                                                                                                          Astolfo sulla Luna


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