di Davide Viero[1], dal profilo FB La nostra scuola, 12.2.2024.
In data 25/01/2024 è stata presentata una proposta di legge da parte dei seguenti promotori: Dario Ianes, Evelina Chiocca, Paolo Fasce, Fernanda Fazio, Raffaele Iosa, Massimo Nutini, Nicola Striano. Tale proposta di legge verte sul fatto che i docenti curricolari dovranno svolgere obbligatoriamente alcune ore del loro orario su posto di sostegno e i docenti di sostegno dovranno dedicare delle ore all’insegnamento nella classe anche in attività extracurricolari (quali? Di che tipo? Didattiche o burocratiche?). A questa nuova cattedra è stato dato il nome di cattedra inclusiva.
La motivazione, secondo i promotori, è che così si accresce l’inclusione dei ragazzi certificati, che sovente sono esclusi dalle dinamiche gruppali.
Tale proposta fa di tutta un’erba un fascio, dato che passa sopra alle enormi peculiarità e differenze che caratterizzano e distinguono i vari gradi di scuola, che sarebbero necessariamente da considerare. Infatti più i gradi sono alti e maggiore è l’impianto disciplinare; non così per i gradi più bassi (scuole dell’infanzia e primaria).
Cercherò qui di mostrare che la portata di una simile proposta è davvero rivoluzionaria, ma non nel senso attribuitole dai promotori, perché la realtà è già perfettamente identica a quello che dicono di voler ottenere con la proposta di legge (da qui PDL). Infatti nella scuola, da più di quarant’anni, l’insegnante di sostegno è assegnato alla classe e non al singolo studente certificato. Quindi l’insegnante di sostegno è a tutti gli effetti della classe e non dell’alunno certificato, risultando così per tutti una risorsa in più.
Ma veniamo alla portata rivoluzionaria, forse inconsapevole, della PDL: una rivoluzione che si gioca su di un altro livello, che qui tenterò di tratteggiare per coglierne la portata regressiva sul piano umano, culturale e dal punto di vista antropologico. Cercherò di dimostrarlo attraverso un processo comparativo di diversi nuclei caratterizzanti la scuola, messi a confronto attraverso la L. 104/92 e la PDL. Essi sono:
La persona[2]
La L. 104/92 considera il concetto di alunno come un di più maggiorativo rispetto all’essere persona. Infatti ogni alunno è una persona che va a scuola per imparare ed elevarsi. Tale concetto è intrinseco e sotteso a quello di alunno. L’essere alunno viene utilizzato per elevare la persona sottostante. Ogni insegnante sotto l’alunno deve scorgere la persona, ma agire sull’alunno per compierla, secondo la peculiarità di questa istituzione.
La riduzione dell’alunno alla persona secondo la PDL. Questa riduzione avviene perché in essa non è considerato l’alunno che deve apprendere elementi considerati fondamentali per esercitare la propria personalità nel mondo, bensì viene considerata solamente la persona, l’individuo. I promotori parlano infatti di inclusione dell’alunno certificato senza mai fare riferimento all’apprendimento se non in modo secondario. Cosa che era sottesa alla L. 104/92. È chiaro che se poi le certificazioni avvengono sulla scorta dell’ICF, la persona è considerata un ammasso di funzioni che la rende più vicina ad una macchina che a un essere umano, che è ben di più della somma delle sue funzioni. L’ICF comporta anche un risultato paradossale, perché se l’individuo è schiacciato sul suo funzionamento, egli non potrà che coincidere con la sua disabilità, nonostante si affermi il contrario.
Il sapere
Con la 104/92 esso è un elemento fondamentale in relazione al soggetto, disabile o no che sia. Gli insegnanti di classe (e con questa locuzione intendo anche quelli di sostegno che sono di classe) hanno il compito di accrescere la capacità di insegnare e di apprendere da parte di tutti gli alunni. Il sapere infatti è qualcosa di democratico che va insegnato a tutti senza distinzione, come afferma l’art. 3 della Costituzione italiana, oltre ad essere un elemento che caratterizza l’uomo: “fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”.
La riduzione del sapere con la PDL: con tale proposta, il sapere non viene quasi mai nominato, perché secondario rispetto alla socializzazione, che diviene il vero compito della scuola (da qui il concetto di inclusione). In un trionfo del comportamentismo sull’approccio culturale/umanistico.
L’insegnante
Con la L. 104/92 gli insegnanti sono una figura fondamentale della triade formata assieme a studenti e sapere. In questo senso gli insegnanti accendono le personalità degli studenti attraverso la cultura ed il sapere.
Con la PDL tali insegnanti diventano meri agenti di socializzazione, senza fondare questa socializzazione su alcunché, essendo l’inclusione fine a se stessa o quasi.
La relazione
Dalla L. 104/92 si evince la centralità della relazione tra insegnanti e studenti. Senza relazione umana non c’è mai trasformazione soggettiva se non casualmente. Avere un insegnante che, attraverso la stabilità di una relazione, insegna, è fondamentale per l’apprendimento/perfezionamento di sé.
La riduzione della relazione con la PDL: essa accresce il numero di figure che interverranno nella classe, magari con una disciplina insegnata da due docenti e con innumerevoli stili di insegnamento. Senza contare che in molti studenti con disabilità la relazione è l’aspetto fondamentale. Avere una ridda di docenti che si alternano può essere confusivo e portare anche a forti disagi in chi è più debole. A chi si guarda con questa PDL? Siamo sicuri che con questa PDL si guardi al bene dello studente in difficoltà, imponendo modi di agire universali e prescrittivi?
L’uguaglianza
Con la L. 104/92 si presuppone l’uguaglianza di tutti gli studenti all’interno della classe. La quale è un di più rispetto alla somma delle parti che la compongono.
Con la PDL l’uguaglianza viene ridotta all’inclusione, ovvero alla considerazione solo del singolo individuo. Come non ricordare qui il tatcheriano “la società non esiste, esistono singoli individui” che funzionano ognuno a modo suo?
La scuola dovrebbe essere un momento che unisce attraverso l’accrescimento nella condivisione di un patrimonio comune. Ecco l’essere compagni di classe, il condividere il pane, nell’accezione etimologica del termine.
Risulta chiaro che la PDL frammenta e smembra la classe, riducendola a un aggregato di individui. E ciò è conforme al mercato, ne riproduce il funzionamento e le leggi.
È questo il piano su cui va letta la PDL. Ed hanno ragione i promotori a dire, nel comunicato stampa, che questa proposta rappresenta un cambio culturale che non si limita al sostegno. Essa è davvero una rivoluzione culturale che uniforma tutta la scuola al paradigma del mercato. Una volta frantumata la classe in elementi isolati, tutti devono poter essere inclusi nel sistema di scambi che regola questo aggregato. Un aggregato che non ha alcuna teleologia aperta, sostituita da un’autoregolazione (in vincolo di risorse) del mercato -in questo caso rappresentato dalle relazioni tra individui- attraverso le quali verrà estratto il valore dal capitale umano che ciascuno è. Il tutto in base alle circostanze e al paradigma utilitarista. Paradigma che conferma il mondo dato e, contrariamente agli annunci, accresce le disuguaglianze e perciò l’esclusione, visto che prevede l’accaparramento di risorse limitate e non per tutti.
Senza contare che la PDL favorisce la burocratizzazione, attraverso un “coordinamento pedagogico sia a livello di scuola che di ambito territoriale”: prevede cioè funzioni e figure che non sono a contatto con gli studenti ma siedono in uffici e mirano, secondo il paradigma del New public management – ovvero la gestione del pubblico secondo i criteri del privato – al controllo dei processi di produzione tipici di altri settori. Ricordo che i docenti sono trasformativi della realtà solo se sono in classe a lavorare con gli alunni, non se sono distaccati a coprire funzioni amministrative e di coordinamento. È in classe la vera sostanza, la vera opera, non nei corridoi e negli uffici. Gli insegnanti insegnino.
La PDL propone infine un costo di 900 milioni di mercato della formazione per plasmare i docenti a quanto voluto dalla stessa riforma attraverso un bisogno indotto. Ciò soddisfa gli appetiti di molti, comprese le case editrici specializzate, ma la cosa più grave è questa trasformazione della scuola, che rende sempre possibile il moltiplicarsi degli appetiti economici e delle possibilità di profitto (come per altro già avviene con l’acquisto di tecnologie proprietarie, strumentazioni digitali oltre ogni ragionevole uso, ambienti e arredi), anche per piccole cifre. E questo ne cambia la natura.
Abbiamo bisogno di tutto ciò? Dov’è l’uomo in tutto questo?
La scuola deve estrarre valore dal capitale umano incarnato dagli individui, oppure dovrebbe essere un’istituzione che dona prospettive altre di trasformazione di sé e del mondo?
Ulteriori considerazioni
Chi a scuola ci lavora, sa quanto sia vituperata la disabilità. Ma non dalla scuola, bensì dalla Sanità pubblica. Tempi biblici per le certificazioni, che a volte fanno perdere mesi di insegnanti aggiuntivi per la classe; percorsi di cura e riabilitazione quasi impossibili e di facciata, mai incisivi perché sporadici; rotazione del personale a causa di contratti brevi e lavori a progetto, il che impedisce l’instaurarsi della relazione tra paziente e specialista, che è fondamentale per un percorso positivo; e ancora, concentrazione dei poli sanitari in pochi centri lontani dalle periferie per ragioni di spesa, con impossibilità e disagi per ragazzi già in seria difficoltà e con famiglie costrette a spostarsi per chilometri o a rinunciare alle cure; impossibilità dell’accesso a cure gratuite e dunque esclusione per chi non può permettersi il pagamento di centri privati; la riduzione del servizio sanitario per la disabilità a un mero procedimento burocratico/certificativo, senza possibilità di cura e riabilitazioni degne di questo nome; la totale assenza dei Servizi ULSS in sede GLO (il nuovo PEI rende legali queste assenze, dato che è valido anche se redatto dalla sola scuola) e nell’accompagnamento degli insegnanti nel loro lavoro con alunni diversamente bisognosi. Nella scuola, le uniche criticità che si riscontrano sono le difficoltà o i dinieghi nel supplire – per mancanza di fondi da parte delle scuole – i docenti di sostegno ammalati, con gravi disagi di tutti gli alunni della classe; i ritardi a inizio anno nella nomina degli insegnanti di sostegno e alcune zone d’ombra nell’assegnazione alle scuole delle cattedre di sostegno in relazione alle ore richieste in sede GLO.
Oggi si riscontra la netta separazione dell’ambito sanitario da quello sociale e si vorrebbe far rientrare la disabilità nel solo ambito sociale rinunciando al primo, in quanto ritenuto stigmatizzante, come ci dicono il Capability approach, l’Index per l’inclusione[3] e la stessa PDL. Le cose invece cambieranno solo quando l’aspetto sociale si compenetrerà a quello medico, secondo lo spirito della 104/92. Se infatti mi mancano le braccia, avrò il mio bel da fare a legarmi le scarpe, così come nell’abbracciare. Il sociale non può esistere senza un corpo (senza scomodare Husserl e tutta la fenomenologia) e smascherare l’impostura di un lassez-faire a livello sociale – praticato solo perché costa meno a uno Stato imperniato su certi modelli economici, oltre ad essere confermativo dello status quo, nonostante la retorica affermi il contrario – è ormai un imperativo per chi si è emancipato.
C’è bisogno di un cambio di rotta, sì. Ma non quello prospettato dalla PDL. Speriamo che i promotori se ne accorgano. E tacciano.
Note
1. Insegnante di sostegno di ruolo e per scelta da 13 anni.
2. Uso qui questo termine per convenzione, dato che la pedagogia maggioritaria in Italia è stata sempre a trazione cristiana.
3. T. Booth, M. Ainscow, Nuovo Index per l’inclusione, Carocci, Milano, 2014.
La cattedra regressiva ultima modifica: 2024-02-13T06:18:40+01:00 da