di Luigi Rovelli, Scuola in Forma, 18.3.2020
– ‘Il Fatto Quotidiano‘ ha pubblicato l’intervento di una professoressa dell’Istituto professionale Lombardi di Vercelli, Valentina Petri, una riflessione sul momento particolare che sta vivendo la scuola in seguito all’emergenza da coronavirus.
Didattica a distanza? Non è quello il problema, ce n’è un altro più serio
‘E quindi da adesso si fa sul serio – si legge – All’inizio siamo rimasti un po’ disorientati, lo ammettiamo. È stato spiazzante, di colpo, da un giorno all’altro, senza data di scadenza, passare dalla lavagna di ardesia col cancellino a girella e il casino da stadio all’overdose digitale di link e file inviati nel silenzio assoluto. Ma vorrei vedere la gente normale. Come se dalla bicicletta, quella con la ruotona grande e la ruotina da inizio Novecento, vi catapultassero sulla Honda di Valentino Rossi. Cioè. Un po’ si sbanda.’
‘Le famiglie ci odiano, come fai sbagli’
‘Il vero problema sono le differenze’
Le differenze tra chi ha un computer, una stampante, un telefono, un iPad e i genitori che si interessano, chiedono, sollecitano, si incazzano pure, ma almeno ci sono. E chi invece ha i genitori che non hanno ancora capito bene, hanno soltanto un cellulare con la connessione zoppa, venti schede per materia, per ogni figlio, e non le possono stampare, anche perché magari i figli sono tre o quattro.
Ci esaltiamo tanto perché nelle chat virtuali ci sono quasi tutti. Quasi. E chi manca? Non i più disinteressati. I più deboli. Che poi magari si disinteressano perché se non riesci a star dietro a tutto è facile pensare “ma sì, pazienza, non fa per me, chissenefrega”. Però diciamole le cose come stanno.’
‘La scuola è di tutti e se non è così abbiamo perso tutti’
La riflessione di Valentina Petri non fa una piega ed è condivisa da molti colleghi, ovvero non tutti gli studenti hanno gli stessi mezzi, le stesse opportunità, gli stessi stimoli. ‘Perché, certo, andrà tutto bene. Più o meno. Ma quando sarà finita, e finirà, e sarà l’ora delle polemiche, io spero tanto che ci si segga intorno a un tavolo, a meno di un metro di distanza l’uno dall’altro, e si discuta seriamente su come fare perché non ci siano più malati di serie a e di serie b o studenti di serie a e di serie b. O, banalmente, cittadini di serie a e di serie b. Perché la scuola è di tutti e, se così non è, abbiamo perso. Tutti.’
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