Social, correzioni, didattica, ministri: tutti i nemici dell’italiano scritto

di Marco Ricucci, il Sussidiario, 3.6.2022.

Lo stato di comprensione dell’italiano scritto dovrebbe tenere in ansia i docenti di lettere. Occorre riunire due codici separati: quello vocale e quello scritto.

Gilda Venezia

La notizia ha fatto il giro del web: il 51% dei quindicenni di oggi non è in grado di comprendere un testo scritto, secondo quanto affermato dal presidente di Save the Children Italia, Tesauro. “La dispersione scolastica implicita” ha detto in apertura dei lavori di “Impossibile”, ovvero la quattro giorni di riflessioni e proposte sull’infanzia e l’adolescenza “cioè l’incapacità di un ragazzo/a di 15 anni di comprendere il significato di un testo scritto, è al 51%. Un dramma, non solo per il sistema di istruzione e per lo sviluppo economico, ma per la tenuta democratica di un Paese. I più colpiti sono gli studenti delle famiglie più povere, quelle che vivono al Sud e quelle con background migratorio”.

Comprendere, dunque, un testo di per sé costituisce un problema, che si ripercuote anche sulla capacità di scrivere, tra le abilità di base che la scuola è chiamata a sviluppare nel bambino, nel ragazzino, nell’adolescente, fino alla soglia della maturità. Scrivere è un’azione cognitivamente complessa: la pagina bianca è una grande sfida per i giovani, persino per il romanziere tecnicamente più provetto. Le prove Invalsi misurano l’abilità della comprensione testuale, ma non solo: se ci affidiamo a un interessante studio svolto dall’Invalsi nel 2012 su un campione di prove di italiano scritto dell’esame di Stato, emerge come le lacune nella competenza testuale rappresentino un ostacolo forte alla piena padronanza della lingua. Più in dettaglio, secondo il report dello studio, al termine del percorso scolastico, gli errori di area testuale si assestano ancora su percentuali elevate: il 29,5%, a fronte del 34,1% di errori di area grammaticale, del 16,8% di area lessicale-semantica e del 19,8% di quella ideativa. Leggere e scrivere, perciò, vanno di pari passo, come due facce della medesima medaglia. 

A scuola, dunque, occorre educare i ragazzi alla lettura, secondo meditati percorsi, dove leggere sia anche un’attività emotivamente motivante, e nello stesso tempo, attraverso l’esplicitazione di strategie testuali, si crei un approccio per “analizzare” il testo, interrogandolo in relazione di fruizione del codice scritto, in generazioni troppo assuefatte al codice “audiorale” e iconico. Leggere e scrivere, che fino a poco tempo fa andavano di pari passo come “normali” attività nelle aule scolastiche, ormai sono praticate in modo del tutto inadeguato, anche perché i ragazzi non hanno più tempo per leggere e scrivere, tra mille attività sportive, intrattenimento con videogiochi, social media e così via. 

La stessa scuola, per come è stata modificata da “riformicchie” nostrane, pare dare un messaggio diverso alla società di oggi: fare mille progetti nel pomeriggio che vengono venduti negli open day come arricchimento dell’offerta formativa, educazione civica, alternanza scuola-lavoro, e così via, sono da fare a scuola accanto alle materie curricolari, il cui monte ore è stato fortemente ridimensionato dalla riforma Gelmini. 

Tornando allo studio Invalsi del 2012, si nota che la situazione precipita ulteriormente se si fa un’analisi più precisa dei descrittori utilizzati dai ricercatori Invalsi: alcuni di quelli relativi alla sezione grammaticale possono in realtà provocare errori che sono inerenti all’area testuale, per esempio l’uso di costruzioni sintattiche del parlato e l’uso corretto del pronome relativo.

Certo, noi docenti di italiano dobbiamo curare di più la scrittura in classe, attraverso una didattica esplicita, scientificamente fondata, in un percorso lineare, ma la ministra Gelmini, rimasta famosa per una gaffe (“dal Gran Sasso parte un lungo tunnel fino al Cern!”), ci tolse un’ora di lingua italiana alla settimana per cinque anni, semplicemente per risparmiare. E così, a distanza di anni, ne vediamo gli effetti nefasti. 

Dal punto di vista del lavoro didattico, noi docenti di italiano correggiamo i temi quasi in maniera sibillina, usando la famigerata linea ondulata in rosso per frasi sintatticamente poco chiare e ordinate, il punto esclamativo, o sintetiche annotazioni sulle incongruenze logico-semantiche (detto confusamente!, che vuoi dire?). In quest’area di grande incertezza che costituisce le annotazioni-correzioni del periodare e della sintassi del codice scritto, rimane vera un’amara constatazione di Serianni e Benedetti (Scritti sui banchi. L’italiano a scuola tra alunni e insegnanti, Roma 2009) circa tali generi di interventi che non aiutano l’alunno a capire la natura dell’errore: “sono tutt’altro che auto-evidenti (…) non individuano il livello linguistico interessato, talvolta non se ne coglie la ratio, e oltretutto appaiono stridenti data l’omissione di altri interventi necessari. Non c’è nessuna possibilità, insomma, che l’alunno migliori le sue prestazioni linguistiche sulla base di indicazioni così sommarie”. 

Prima di prendercela coi nostri ragazzi, per così dire, lamentandoci, facciano noi adulti una sorta di esame di coscienza. In primis noi docenti di lettere!

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Social, correzioni, didattica, ministri: tutti i nemici dell’italiano scritto ultima modifica: 2022-06-03T06:48:29+02:00 da
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