“È diventata donna, deve essere protetta dai ragazzi più grandi”, hanno spiegato all’avvocato Elisa Fangareggi, presidente di un’associazione che offre consulenza legale alle famiglie immigrate.
La replica dell’esperta è stata netta e senza mezzi termini: “Una bambina di 11 anni non può nascondere il volto. A scuola si comunica con lo sguardo, non con un drappo”; il caso in questione riporta inevitabilmente a Monfalcone – città-faro del Nordest con il 30% di stranieri – dove cinque studentesse bangladesi hanno ottenuto di indossare il niqab, previa identificazione in stanze separate.
La vicenda modenese, però, non è una replica: qui i genitori pakistani hanno tentato di strumentalizzare il precedente, chiedendo alla fondazione di farsi portavoce della loro battaglia: “Sono arrivati in ufficio con la madre completamente velata, il padre in maglietta corta” racconta Fangareggi.
Un contrasto che stride e rivela il doppio registro di chi vuole imporre tradizioni patriarcali alle figlie, mentre i maschi vivono all’occidentale: “Vogliono coprirla per evitare attrazioni”, spiega l’avvocato, ribadendo come la richiesta celi un controllo sul corpo femminile che contrasta con i principi di libertà e uguaglianza.
La scuola italiana – crocevia di culture – si trova così a navigare tra laicità e rispetto delle diversità, rischiando di normalizzare simboli che in Europa sono spesso associati all’oppressione.
Genitori pakistani e l’obbligo del niqab: quando la tradizione soffoca il futuro di una ragazzina
Il tema in questione non è un semplice pezzo di stoffa, ma il destino di una bambina; i genitori pakistani insistono: “A Monfalcone l’hanno concesso” ignorando che dietro quella concessione si nascondono dinamiche pericolose, identificare le studentesse in stanze separate non è sinonimo inclusione, ma assume contorni più simili all’ apartheid.
La ragazza di Modena – che a settembre affronterà le medie – rischia così di essere segregata due volte: dal velo e da un matrimonio combinato: “Temiamo che dopo la scuola dell’obbligo venga data in sposa” è l’avvertimento di Fangareggi, ricordando il caso di Saman Abbas, la giovane pakistana uccisa dalla famiglia per essersi ribellata alle nozze forzate.
Il niqab, in questa storia, è solo la punta dell’iceberg, con il timore che questo caso possa spingere altri genitori pakistani a farsi avanti, mentre sui social divampa la polemica tra chi invoca il dialogo e chi vede nel velo integrale un segnale di resa allo scontro culturale.
L’Italia fatica a trovare una linea: accogliere senza cedere, integrare senza annullare, ma quando i genitori pakistani chiedono di applicare norme estranee alla Costituzione, la risposta non può che essere una.